Io c’ero quel giorno a Colle Ratti e mille volte ho rivissuto quei momenti. Sono nato oltre venti anni dopo, ma quel pomeriggio di maggio del 1944 la mia vita era lì, insieme ad Innocenza Pelliccia ed ai suoi cinque figli. Zia Nocenza, come noi la chiamavamo, aveva sposato zio Peppe Refrigeri, il fratello di mia nonna Giovanna. Quel giorno Zia Nocenza morì, all'età di 33 anni, e morì insieme a tutti i figli. Se non fossero morti avrei potuto chiamarli zii: zio Nazzareno, di 13 anni, zia Maria, di 11 anni, zia Rosa, di 7 anni, zia Fernanda, di 5 anni e zio Antonio di 2 anni.
Zia Nocenza aveva sposato un Refrigeri e, come usava all’epoca, i Refrigeri avevano diviso tra fratelli i terreni paterni di Colle Ratti: una parte a zio Peppe, una parte a zio Pittucciu, una parte a Zia Adelaide, una parte a Zia Maria e una parte a mia nonna Giovanna. Chissà perché Zia Assunta, l’altra sorella, era stata esclusa. La striscia di terreno toccata a nonna era proprio al di sotto della chiesa di Santa Maria di Colle Ratti, tra quella di Zia Adelaide e quella di Zia Maria.
In quei giorni Subiaco era deserta! Con l'occupazione tedesca e i primi bombardamenti tutti erano scappati. La gente aveva trovato rifugio nei ricoveri di campagna, le "tènne". Anche i fratelli Refrigeri non facevano eccezione e la loro vita quotidiana si era trasferita da sfollati proprio a Colle Ratti.
E il pomeriggio di quel giovedì 25 maggio del 1944 mio nonno Augusto era appunto lì, a lavorare la striscia di terra sotto quella chiesa di campagna. L’esigua paga da operaio della Cartiera non era sufficiente a tirare avanti e così, come tutti gli altri cartai sublacensi dell’epoca, nonno si procurava ulteriori risorse coltivando i piccoli terreni di famiglia.
Quel giorno ad aiutare nonno c’era anche sua figlia Rosa, quindicenne, occupata anche lei nelle mansioni contadine: procurava l'acqua per le piantine appena messe a dimora dal padre. E fu proprio Rosa che, alzando gli occhi al cielo attratta dal rumore sordo delle fortezze volanti, si accorse di qualcosa di inusuale : “Papà, guarda sotto quegli aerei quanti luccichini”. Nonno, chino sulla zappa, interruppe il lavoro e guardò verso il cielo. Subiaco era già stata bombardata due volte nei giorni precedenti e nonno, ex combattente della prima guerra mondiale, viveva quei giorni insicuri moltiplicando le accortezze. “Quelli non sono luccichini sono bombe! Scappiamo!”
Il sole delle sei del pomeriggio si rifletteva allegro sugli ordigni sganciati a grappoli dagli aerei alleati. Non c’era nulla di bello in quei bagliori; di lì a poco i siluri metallici luccicanti avrebbero seminato su Subiaco orrore, distruzione e morte.
Nonno Augusto prese per mano Rosa e corse verso il ricovero di famiglia vicino la chiesina. Sapeva che zia Nocenza era lì con i sui cinque figli intenti a fare merenda e voleva rifugiarsi, come la cognata, in quella casupola a ridosso della chiesa. Percorse quelle poche decine di metri, nonno e la figlia si trovarono davanti alla porta della casa. Le bombe erano oramai vicine e rimaneva poco tempo. Ma la porta era inspiegabilmente chiusa. Nonno provò ad aprirla una volta, una seconda, una terza, ma niente! La porta era bloccata ed era impossibile entrare. Il tempo era scaduto. Piano B: con estrema velocità nonno prese la figlia ed insieme si accucciarono in un anfratto roccioso proprio al di sotto delle mura della chiesetta.
Arrivò il finimondo! Esplosioni e macerie, macerie ed esplosioni. Le pietre della chiesa cadevano a valanga proprio davanti a quell’anfratto. Nonno e sua figlia le vedevano passare temendo che tutto sarebbe crollato seppellendoli. E polvere, una densa polvere oscurava ogni loro visuale. In quegli istanti interminabili mio nonno disperava oramai di salvarsi e con voce spezzata si rivolse alla figlia: "Rosi', qui è arrivata la nostra ora, raccomandiamoci l'anima a Dio".
Lentamente i boati cessarono, le pietre smisero di cadere e la polvere pian piano si diradò. L’anfratto non era crollato e loro erano ancora vivi, praticamente incolumi. Nonno guardò sua figlia Rosa e le disse tristemente: “Noi ci siamo salvati, ma per quelli che stavano qua sopra non c’è speranza”.
Nonno aveva ragione. La chiesa di Santa Maria di Colle Ratti non c'era più e le sue mura avevano inghiottito tutte le piccole costruzioni circostanti. La vita di Innocenza e dei suoi cinque figli era stata sepolta da quelle macerie alle sei di pomeriggio di un giovedì di maggio, mentre facevano merenda.
Credetemi, io c’ero quel giorno a Colle Ratti! E mille volte ho rivissuto quei momenti, perché mille volte Rosa, mia madre, me li ha raccontati.
Chiesa di Santa Maria di Colle Ratti in una foto del 1993