Analisi della storia e del significato dei toponimi italiano e sublacense relativi alla piazza più iconica del centro storico di Subiaco e ipotesi sul perché essi siano così differenti

Pubblicato sulla rivista "Aequa" numero 92 del 2024 

 
Cartolina Postale anni ‘50

Piazza Pietra Sprecata! Pietra Sprecata? Ma cosa può significare "Pietra Sprecata"?

Cosa voglia dire questo toponimo è un vero enigma e appare incomprensibile quale sia la sua relazione col toponimo dialettale.

Piazza Pietra Sprecata rappresenta la piazza più iconica del centro storico della città. Per chi visita Subiaco è una tappa da non mancare ma per i sublacensi è un luogo del cuore a cui tutti sono affezionati.

Il piccolo tempietto eretto su un pilastro con annesso arco gotico, dove si innalza al cielo l'icona della Madonna della Pietà, è stato rappresentato da innumerevoli artisti che, visitando Subiaco, non hanno potuto esimersi dal raffigurarlo nelle loro opere. E innumerevoli sono le foto d'epoca o le stampe che l'hanno immortalato, restituendoci storie di vita quotidiana di uomini, donne e bambini che nei pressi di quella piazza svolgevano le loro esistenze.

Il tempietto si trova in una piazza di snodo dove confluiscono quattro direttive: due dall'alto e due dal basso. Ma è anche in una piazza di governo, dominata dalla presenza del palazzo gotico dove nella seconda metà del XV secolo dimorò il Cardinale spagnolo Giovanni da Torquemada, primo abate commendatario di Subiaco.

Ma di questa piazza il nome in italiano “Pietra Sprecata" resta un mistero. In effetti nessuna delle spiegazioni ipotizzate appare credibile: piazza costruita con le pietre scartate per costruire la Rocca… non ha proprio senso e soprattutto non si comprende da dove possano scaturire le due parole "Pietra" e “Sprecata”.

Da dove ripartire allora? Sicuramente la fonte di verità sta nel nome dialettale del posto, molto più attendibile del toponimo italianizzato.

'Mprestecata o Prestecata, una sola parola. Questo il nome usato dai sublacensi nel loro quotidiano parlare per indicare questo luogo. Il toponimo italiano, infatti, viene usato soltanto per dare indicazioni ai turisti. Appare abbastanza evidente che nel toponimo sublacense non vi sia spazio per le pietre, sprecate o meno che siano. Procediamo allora per similitudine.

Ci sono infatti altri luoghi a Subiaco con nomi dialettali assonanti: ad esempio 'mpellapiaja, sempre tutto attaccato. 'Mpellapiaja è un luogo di confluenza dove si incontrano le strade che portano verso la "piaggia" (la spiaggia), cioè verso le sponde del fiume Aniene. 'Mpellapiaja è il crocicchio tra l'attuale Via della Piaggia, Via degli Opifici, Via Fabio Filzi e Via Sant'Antonio. Via della Piaggia ora è solo una scalinata chiusa, ma questa scalinata, prima della costruzione dell'attuale Via Cavour - la “Via Nova” realizzata nel XIX secolo - era collegata direttamente a Via del Torrione e dava accesso dai quartieri sotto la Rocca alla spiaggia ('mpe=verso) del fiume Aniene. Quindi 'mpellapiaja è "verso la spiaggia" o, come è stato giustamente trasposto, Via della Piaggia.

Ma c’era un altro luogo con un nome simile: ‘mpellacorsa. È un toponimo caduto in disuso soprattutto dopo la ricostruzione post-bellica di Subiaco, ma di cui si trovano riscontri fin dal 1700. Indicava la strada che dall’altezza del Ponte di San Francesco saliva fino al centro di Subiaco. Tutta dritta e inframmezzata dall’arco trionfale, arco eretto nel 1789 in onore di Papa Pio VI, fungeva da lungo viale di ingresso al centro abitato. ‘Mpellacorsa o “la corsa” era così chiamata proprio perché utilizzata per le corse, soprattutto di animali, asini se non addirittura tori. Anche in questo caso quindi, ‘mpellacorsa sarebbe stato facilmente attualizzabile in Via della Corsa, o semplicemente la Corsa.

Quindi abbiamo due casi: ‘mpellapiaja, che diventa Via della Piaggia e ‘mpellacorsa, che sarebbe diventata Via della Corsa. Ma allora per similitudine 'mprestecata non può assolutamente riferirsi in alcuno modo alla parola "pietra". 'Mpe/’mpre non può essere altro che qualcosa assimilabile a “via”, "verso", “presso”, "lungo", "in direzione di"; esprime, cioè, un concetto di "moto a luogo": andare, muoversi nei pressi di o in direzione di qualcosa. Niente pietre quindi nella sillaba ‘mpre o pre, nessuna possibilità!

L' opzione allora è una sola: il nome dialettale della piazzetta introdotto dal termine ‘mpre o pre conduce ad un toponimo italianizzato da interpretare come “via”, “verso”, “nei pressi di”, “in direzione di”, “lungo” un qualcosa caratterizzato dal termine "stecata".

Avessimo chiaro il significato da attribuire alla parola "stecata" potremmo avere le chiavi per risolvere l'arcano. Comunque, a prescindere dal significato di questa parola, appare lampante che mettere in relazione "stecata" con "sprecata" risulta quantomai ardito. Non si riesce ad immaginare un possibile legame tra queste due parole anche perché il lemma "sprecare" appartiene propriamente anche al vocabolario della lingua sublacense. "Lo spréco" è un concetto proprio della cultura di Subiaco: "La robba non se sprèca" è frase tipica. Se il luogo fosse collegato al concetto di spreco, la parola "sprecata" sarebbe contenuta anche nel nome dialettale. Al suo posto invece troviamo inequivocabilmente la parola "stecata".

Torniamo quindi alla questione: cosa possa significare la parola "stecata". Il punto di partenza del nostro ragionamento scaturisce dall'intuizione del sublacense Benedetto Luciani, che ringrazio per aver condiviso con me le sue scoperte. In uno dei paesini medioevali da lui visitati, Luciani ha trovato esistere una "Via della Steccata", a ricordo di un primitivo steccato in legno quale antica fortificazione del castello del paese.

E se fosse lo stesso anche per Subiaco? Se "stecata" non fosse altro che il corrispettivo dialettale della parola "steccata"?

Se cerchiamo nel vocabolario Treccani questa parola, il secondo significato risulta essere: “Nelle fortificazioni, palo aguzzo piantato orizzontalmente o inclinato verso il basso, nella scarpa del ramparo, per impedire la salita al nemico; anche, l’insieme dei pali destinati a costituire difesa accessoria.”

Potrebbe allora la parola dialettale “stecata” essere un termine di provenienza medioevale riferito appunto ad una fortificazione? Sappiamo che il primo nucleo della Rocca Abbaziale venne costruito sul finire dell’anno mille, in pieno medioevo. E lo possiamo immaginare come un piccolo castello che, giocoforza, doveva avere una qualche struttura di difesa; magari proprio una palizzata in legno, cioè una fortificazione basata su una "steccata". Potremmo essere sulla strada giusta, se si considera che per questo tipo di fortificazioni la parola che si usava nel medioevo era “stechata”, scritta con una “h” ad addolcirne la pronuncia.

Scrive infatti Bartolomeo di Ser Gorrello (1322/1390) a proposito della difesa della città di Arezzo, assediata dopo la battaglia di Campaldino, che la sua porta era “Senza mura con stechata et fossa”. Inequivocabilmente, allora, la parola “stecata” o “stechata” indica una struttura di difesa medioevale realizzata con pali in legno.

Questa sembra una ricostruzione plausibile: la Rocca di Subiaco era circondata inizialmente da una stechata che fu lentamente soppiantata dalla costruzione di abitazioni a ridosso della fortezza stessa. Le costruzioni però potrebbero aver lasciato in alcuni punti parte di questa steccata. Ad esempio, ne poteva essere rimasto un tratto, magari proprio verso l'odierna via Palestro. A quel punto per i sublacensi la strada che andava verso la Rocca poteva essere una strada che costeggiava la steccata, lungo la steccata, verso la steccata, cioè ’mprestechata, in cui il suono “ch” ricalca ancora meglio la pronuncia sublacense del toponimo.

Abbiamo prove storiche dell'esistenza di questa steccata? Non dirette; sappiamo però che Giovanni V, quando costruì la Rocca, la dotò di tre ordini di mura e quindi, plausibilmente, il più esterno poteva proprio essere una steccata. E guarda caso a Subiaco, sempre a ridosso della Rocca Abbaziale, ma verso Via della Montagna, cioè dalla parte opposta di ‘mprestechata, si trova Via dello Steccato! Qui è chiaro: in quel posto esisteva uno steccato. Ma se a nord abbiamo uno steccato e a sud abbiamo una "steccata", allora anticamente poteva esistere una fortificazione in legno che proteggeva la Rocca, una stechata fatta presumibilmente costruire proprio da Giovanni V.

Così tutto torna: il più esterno degli ordini di protezione della Rocca Abbaziale era costituito da una steccata che si estendeva molto al di là delle attuali mura, fino dunque a prestechata, la piazza il cui nome corretto in italiano sarebbe dovuto essere, in base a questa ricostruzione, "Piazza della Steccata"!

Esistono in effetti molti luoghi in Italia i cui nomi hanno avuto storie simili a quella che stiamo ipotizzando. Il caso più eclatante viene da Parma, dove troviamo la Basilica di Santa Maria della Steccata. Sì, proprio “della steccata”. E qual è l’origine di questo nome? Sul finire del 1300 sulla facciata dell’oratorio che lì sorgeva, venne realizzato il dipinto di una Madonna allattante. Questo dipinto divenne presto oggetto di particolare devozione da parte dei parmigiani. Dal fatto che l'area dell'edificio era protetta da una staccionata, realizzata forse proprio per regolare l'afflusso dei numerosi pellegrini, quella Vergine iniziò ad essere invocata appunto col titolo di “Madonna della Steccata” e da qui il nome dell’attuale Basilica che custodisce il dipinto.

È praticamente la medesima storia di prestechata, che quindi, come successo a Parma, doveva appunto diventare in italiano “Piazza della Steccata”.

Questo però risolve solo metà dell’enigma, perché è necessario anche spiegare come si sia potuto passare da “Piazza della Steccata” a “Piazza Pietra Sprecata”.

E se questo toponimo fosse un “regalo” del Gran Tour?

A partire dalla fine del 1700 e per tutto il 1800, molti giovani rampolli di famiglie benestanti, soprattutto europei, viaggiano per l’Italia con lo scopo di accrescere le proprie conoscenze. Non passano solo per le grandi città, ma visitano anche i piccoli centri limitrofi, quelli che si trovano nelle “campagne”. Da Roma arrivano quindi anche a Subiaco. Lo testimoniano gli innumerevoli disegni e dipinti rintracciabili fin dalla fine del XVIII secolo e realizzati da autori noti o meno. Non arrivano solo pittori, passa per Subiaco anche il famoso compositore francese Hector Louis Berlioz (1803-1869) che vi soggiorna più volte e vi scrive anche alcune composizioni musicali. Possiamo quindi immaginare una Subiaco ottocentesca con molti “forestieri” a spasso per i suoi vicoli e le sue strade: forestieri che dipingono quadri, che disegnano scorci panoramici, che scrivono resoconti su un diario, che scattano fotografie o addirittura che compongono musica. Questi “forestieri”, una gran parte non italiani, scoprono ‘mprestechata e ne sono affascinati. Chiedono ai locali il nome del luogo ma, forse anche per la scarsa conoscenza della lingua italiana, non hanno strumenti per comprenderne il significato. Procedono allora per assonanze e, lavorando di fantasia, trasportano ‘mpre in pietra e stechata in sprecata. I disegni e gli appunti cominciano a circolare nella cerchia di questi visitatori e il luogo assurge così ad una sua fama. Può quindi essersi creato un dualismo toponomastico: i forestieri iniziano a chiamare quel luogo con il nome di Pietra Sprecata mentre per i sublacensi resta e resterà per sempre ‘Mprestechata.

È indicativo, infatti, che sin dal XIX secolo in tutte le raffigurazioni pittoriche o fotografiche del tempietto della piazza venga sempre riportato il nome di Pietra Sprecata. Emblematico poi l’esempio di alcune di queste opere dove troviamo addirittura il termine “Pietra Spregata” con una “g” al posto della “c”. È il caso di una fotografia appartenente ad una collezione di 3.300 immagini dei principali monumenti di Roma e dintorni, foto commissionate dall’archeologo John Henry Parker (1806, 1884) e scattate tra il 1867 e il 1870.

 

Fotografia del 1867 commissionata da J.H. Parker

 
L’immagine, di proprietà della British and American Archaeological Society of Rome, è descritta come “Fotografia raffigurante un portone e una strada chiamata Pietra Spregata, nel centro storico di Subiaco, Italia”. Al contempo, l’esempio più famoso è rappresentato dalla cartolina postale 2043 della ditta Alterocca di Terni dove, anche in questo caso, la didascalia riporta “Pietra Spregata” e di cui si trovano esemplari viaggiati a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Cartolina Alterocca 2043 (Fot. Prosperi)

Non sono questi i soli casi di utilizzo del nome “Pietra Spregata”. Ne esistono molti altri e come esempio citiamo una fotografia scattata nel 1910 appartenente al fondo Collinet-Guérin custodito presso la Biblioteca dell’Istituto Nazionale di Storia dell’Arte con sede a Parigi, che riporta la dicitura “Subiaco: Arco di Pietra Spregata”. A partire invece dagli anni ’20 del XX secolo, le didascalie convergono tutte in “Pietra Sprecata”, come se finalmente si fosse trovato un equilibrio.

Questa dicotomia “Spregata” o “Sprecata” si riscontra solo in quella che potremmo definire la “toponomastica dei forestieri” e dimostra ulteriormente come il nome odierno della piazza sia in realtà di origine aliena rispetto alla tradizione sublacense, un nome consolidatosi a cavallo tra il XIX e XX secolo. Questa sua origine “aliena”, quindi, spiega anche il motivo per cui i sublacensi non si sono mai riconosciuti nel toponimo “Pietra Sprecata” e lo usino solo per parlarne con i turisti!

A questo punto allora l’enigma appare chiarito: gli artisti forestieri, spesso anche stranieri, visitando Subiaco nel XIX secolo non intuirono il vero significato del toponimo dialettale prestechata, dovuto appunto alla presenza di avanzi della fortificazione in legno della Rocca, e trasportarono erroneamente il nome in Pietra Spregata o Pietra Sprecata, creando così una sovrapposizione artificiosa tra un termine italiano ipotizzato e il reale termine dialettale. Poi, data la “supremazia” della lingua italiana e la fama che il nome aveva assunto fuori Subiaco, il termine Pietra Sprecata è diventato predominante ad ha impedito quindi l’attribuzione del corretto toponimo di Piazza della Steccata!

Questa è chiaramente una ricostruzione basata sulla logica, ma che chiarisce completamente l’enigma. Sarebbe però bello poter ritrovare diari o appunti di viaggio di qualcuno di questi forestieri che sulla spinta del Grand Tour visitarono Subiaco nel XIX secolo. Lì si potrebbero seguire i ragionamenti che hanno presumibilmente portato all’invenzione del nome “Pietra Sprecata” negando a Subiaco la sua “Piazza della Steccata”.