Articolo pubblicato dal mensile "Il Cittadino" Aprile 2013.

 

Nei momenti di maggior disagio la forza per ripartire si ricerca nella propria identità, nel proprio intrinseco essere, nelle ragioni comuni dello stare insieme al proprio gruppo sociale, in definitiva nella risposta alla fatidica domanda “chi sono io?”. In questa fase di profonda crisi che la città di Subiaco sta attraversando – crisi economica, sociale, politica, demografica e culturale - la comunità possiede un’identità comune a cui rifarsi per ritrovare lo spirito e la forza per rimettersi finalmente in cammino? Esiste un tema, un sentimento, un mito, una modalità di rapportarsi tra noi e con gli altri che possa essere indicato come simbolo di appartenenza a cui aggrapparsi? Esiste la “sublacensità”?

 

Un non sublacense ci indicherebbe un faro luminossissimo in cui identificarsi: San Benedetto. Il nome Subiaco è da sempre, e giustamente, associato alla monumentale figura religiosa, storica, culturale e sociale dell’uomo di Norcia, nato alla Santità proprio nel sublacense, territorio dove visse e operò per circa trent’anni .E il suo lascito, i monasteri, rappresenta da oltre quindici secoli un punto di riferimento per il mondo intero. Uomini di religione e di cultura hanno attraversato, e attraversano, monti e mari pur di venire a visitare il luogo dove nacque la spiritualità e la civiltà occidentale. Se ritroviamo il nome “Subiaco” in tutti i continenti lo dobbiamo a San Benedetto e ai suoi monaci: ma San Benedetto è veramente la trama su cui tessono la loro esistenza i cittadini di Subiaco? Per secoli abbiamo dato per scontato che monasteri e città fossero un unicum, ma oggi forse dovremmo avere il coraggio di considerareuna realtà diversa: Monasteri e Città sono praticamente due differenti soggetti che condividono lo stesso etimo “Subiaco”. Ma mentre i monasteri potrebbero benissimo esistere senza la città, la città forse senza i monasteri non esisterebbe. E’ vero, a Subiaco onoriamo San Benedetto (io stesso, con il mio nome di battesimo, sono la testimonianza vivente di quanto i sublacensi siano a lui devoti), è vero lo celebriamo nelle strade e ai monasteri, ma in sostanza non lo festeggiamo. Difatti, non esiste alcuna tradizione popolare per il giorno della festa del santo, non esiste un piatto tipico, non esiste un rituale familiare, non esiste un moto identitario che, nel giorno di San Benedetto, ci faccia sentire orgogliosi cittadini di Subiaco. Lo celebriamo ma non ci sentiamo in festa.

E’ questo il grosso problema dell’identità sublacense: l’illusione che una figura così importante sia il nostro collante identitario quando nei fatti non lo è. A nessuno viene in mente di camminare per la città per riscoprire San Benedetto, a nessuno viene in mente di parlare con un sublacense per  riconoscervi un suo seguace. E’ come se in sostanza esistessero due Subiaco: la Subiaco maggiore dei monasteri e la Subiaco minore della città. La Subiaco maggiore ha una sua precisa identità in San Benedetto e nella sua Regola, la Subiaco minore ha cercato nel corso dei secoli di entrare, di aggangiarsi, di sovrapporsi, ma ha anche subìto questa identità che però, nell’intimo, non ne è sostanza fondativa.

Sovrapporre le due Subiaco è l’errore che ha portato nel passato a conflitti e tensioni, con strascichi negativi ancora oggi rintracciabili. Forse solo riconoscendo questo dualismo possiamo fare ordine nel processo identitario di cittadini sublacensi. Ma ulteriore confusione può essere aggiunta dall’adozione del motto: “Subiaco città di San Benedetto e della stampa”: una furbacchioneria pubblicitaria che tenta, per l’ennesima volta, di inglobare i monasteri nella città. Nessuno però cerca San Benedetto nei vicoli sotto la Rocca, nessuno cerca il Primo Libro lungo le sponde dell’Aniene: San Benedetto e la prima stampa si incontrano solo nella Subiaco dei Monasteri.

E allora? Viva San Benedetto, Uomo e Santo, giustamente Patrono dei sublacensi, fortunati a conoscerlo da presso e sentirlo concittadino. Continuiamo a celebrarlo ed onorarlo con sempre maggior entusiasmo insieme ai monaci, magari provando anche a festeggiarlo, ma ahime consideriamo che non rappresenta nei fatti l’identità della comunità cittadina. In questo momento di crisi la città di Subiaco, come fosse il figlio di un personaggio famosissimo, Benedetto e i suoi Monasteri, dovrebbe avere la forza di pensarsi disgiunta dal proprio notissimo genitore, per scoprire il proprio essere e dichiarare la propria vera identità, auspicabilmente complementare ma rispettosamente altra da quella del padre.

Quale sarebbe allora la vera identità dei sublacensi? Qual è, se esiste, la sublacensità? O forse al momento la questione sta ancora più a monte: dopo circa mille anni dall’avvento di Giovanni V, dopo circa cento anni dalla fine della commenda, dopo circa dieci anni dalla fine dell’appartenenza della Città di Subiaco alla Diocesi di Subiaco, esiste ed è sentita l’esigenza di scoprire o costruire una identità propria dei cittadini di Subiaco?