Di seguito la terza parte del libro "Viaggio pittorico - antiquario da Roma a Tivoli e Subiaco" scritto da Fabio Gori e pubblicato nel 1855.

 SUBIACO

A mezzogiorno dì lunga valle non bastando un colle a sostenere le innumerabili case quasi tutte annerite dall'età, le rimanenti hanno occupati tre rialti ed il piano che dal colle si prolunga alla dritta d'un fiume. Due Campanili dell'XI e XVI secolo sulle abitazioni torreggiano a guisa di guardie ai due fianchi dell'altura: un Palazzo o Fortezza su triplice recinto nel più alto scoglio si eleva. Nel fine di lunga e dritta via rotabile un magnifico Arco di pietra eretto alla Benedicenza di Pio VI indica il nome di questo vecchio Castello dal medesimo Pontefice. onorato col titolo di Città. Qualunque Forastiere ch'entra da questo lato in Subiaco, s'immagina larghe ed eleganti contrade: ma ben tosto l'illusione sparisce e guarda tortuosi ed angusti vicoli oscurati dalle aggruppate casette, e sospira il momento, in cui avranno termine i restauri di tutte le strade e l'apertura d'ampia via carrozzabile nella parte più frequentata. Nondimeno il Pittore vi rinviene mille oggetti da ritrarre. Delle finestre divise da colonnette nel mezzo, sessant'anni fa vi era un gran numero, ora sventuratamente ne restano solo quattro: e quelle scompartite a croce tolse l'amore della luce. Ambedue i generi di finestre manifestano quegli anni tremendi che di sangue civile bagnarono queste Contrade. Nelle Famiglie si narrano fatti terribili, risse giornaliere di Subiacesi contro Subiacesi. Tali avvenimenti io riferisco specialmente ai tempi di Clemente VII e Paolo IV allorquando il Cardinal Pompeo, e Scipione Colonna Abbati Commendatarii funesta guerra ruppero ai Papi. Scipione Colonna fu morto in battaglia, Subiaco due volte saccheggiato, ed una volta messo a fuoco. Nelle vittorie e fughe dei contrarii partiti niuna meraviglia che fossero nel Castello, Colonnesi e Papalini, o che l'uno rialzando le case abbattute dall'altro le caricasse di emblemi denotanti la propria fazione. In una di queste si è veduto fino agli ultimi anni scritto il verso del Petrarca: Viva l'alta Colonna e 'l verde lauro.

Subiaco non manca di vasti e ben architettati Palazzi e di eleganti e pregevoli Chiese. Passando per la via Capo de' Gelsi fiancheggiata da belle Case, osservisi il Palazzo Governativo fondato da Pio VI con Carceri, Cancellaria e Forno. In una sala il Busto di Pio IX in marmo di Carrara, regalato dallo stesso Regnante Pontefice al Comune, sta per pegno dell'amore col quale predilige la nostra Patria.

Dove ora sorge la Fontanella innanzi alla Locanda Scossa, rimaneva il Palazzo di Gian Pasquale Caponi, distrutto nel 1799 dai Francesi quando presero d'assalto la Città. Il solo saccheggio della sua abitazione costò a quel Capitano la somma di 60 mila scudi! A destra s'incontra la vaga Chiesuola del Purgatorio eretta con un fondo concesso da Pietro e Curzio Panimolle nel 1644. Il quadro dell'altare esprime la forza del suffragio. Si dice che il Manente ritraesse il Preposto Marina nel Sacerdote dicente la Messa, ed un Artigiano nel Servente di cui l'atteggiamento è contrito e devoto al sommo. Son degne di osservazione quattro tele colorite dal Silvagni. La prima indica la resurrezione di Lazzaro. Imperioso è il comando del Salvatore, forzata la uscita del Redivivo dalla tomba involto nella sindone, ed espressive le mosse di terrore e meraviglia degli Astanti. Le rimanenti son buone Copie dell'Ezechiele chiamante a vita i Defunti, del s. Pietro che ravviva Tabita, e dell'Anima Beata. Non si può a meno di sublimarsi con l'ultima sulle sfere, specialmente non vedendo nella Copia le masse de' colori che per la immatura morte dell'Autore imbrattano l'Originale. Sotto l'ultimo quadro una lapide ricorda la memoria del Canonico Giovanni Angelo Bagnani che fra le altre beneficienze a questa Chiesa compartite acquistò i 4 dipinti.

Nella stessa via passato il grande Palazzo Lucidi sorprendono le due facciate della Collegiata, e del Seminario. Onde piantare la nuova Chiesa di s. Andrea Apostolo, si demolì l'antica disegnata, com'è fama, dal Bramante, accresciuta ed abbellita dai Colonna, Borghesi e Barberini, adorna di stimate pitture, fra le quali primeggiava il classico affresco della Flagellazione di N. S. Non è a dire se indegnasse l'Anima di Pio VI appassionata per le Belle Arti quando gli fu portata la nuova che invece di secare i Dipinti aveanli rovesciati al suolo.

L'interno della moderna Chiesa architettata da Giulio Camporesi colpisce, ma se bene si consideri maggiore dovrebbe esser l'altezza. È a croce latina con pilastri e colonne di ordine jonico. L'unica navata è lunga 273 palmi, e larga 60. Da ciascun lato della navata sfondano tre Cappelle altri p. 21, e 43 i due Cappelloni che apron la Croce. I quadri degli altari tranne un solo appartengono ai primi Pittori viventi in Roma nel Pontificato di Pio VI. Indichiamoli:

Cappelle a destra:

  1. S. Benedetto assistente alla morte di s. Scolastica.
  2. S. Chelidonia in estasi. Assai stimato.
  3. Il sogno di s. Giuseppe.

 

Cappelle a sinistra:

  1. La Madonna del Rosario con s. Domenico. Sotto l'altare riposa il Corpo del Martire Crescenziano vestito da guerriero.
  2. Maestosa ed antica immagine del Redentore;
  3. Dieci servi di Dio ascritti fra i Beati da. Pio VI. E sono Bonaventura da Potenza Minore Conventuale, Lorenzo da Brindisi Cappuccino, Niccolò Fattore Minor Osservante, Gaspare De Bono e Niccolò De' Longobardi entrambi dell'Ordine de' Minimi, Tommaso da Cora Minore Osservante, Michele De Sanctis Trinitario, Pacifico da s. Severino Minore Riformato, Marianna di Gesù Trinitaria, Giovanna Maria Bonomi Benedettina.

 

Sotto la Cupola una Scala di marmo a due rampe fiancheggiata da colonnette a guisa della Confessione di s. Pietro in Vaticano, mette in un Vestibolo. Da qui si scende nella Chiesa inferiore a croce greca adorna di pilastri e colonne di ordine dorico, lunga pal. 141, larga 132. Vi sono tre altari, de' quali il medio è della Chiesa antica, come il miracoloso Crocifisso che si venera nella nicchia posteriore. In due quadri stan dipinti l'Arcangelo s. Raffaele e s. Rocco.

Tornando alla Chiesa superiore osservisi il Tabernacolo del ss. Sagramento composto di pietre dure, non che il quadro di s. Pietro. Richiama poi da sé stesso, l'attenzione il quadro della Crocifissione di s. Andrea pel vivo colorito e per le naturali attitudini delle persone. Questo faticoso lavoro del celebre Cristoforo Unterperger non fu terminato.

L'Altare Maggiore attira gli sguardi per la isolata posizione nel mezzo, e pei marmi preziosi come dalla parte detta balaustrata il plasma di smeraldo formante un rosone con fregi di metallo dorato. Sull'Ara poggiavano 7 Candelieri di argento, un de' quali con la Croce, di eccellente disegno, alti palmi 8 e del peso di 60 libbre l'uno; valeano diecimila scudi: se ne impadronì il Governo Francese e li ridusse in pezzi ora vi sono 7 bei Candelieri di metallo corintio.

Merita somme lodi la forma del Presbiterio fiancheggiato da seggi Corali a più ordini costruiti di scelta noce, come ancora il Trono Pontificio che sopra 7 gradini elevasi nel fondo. I due maggiori Chiaroscuri gli Atti riportano del martirio di s. Andrea.

Una porta a sinistra introduce a due Sagrestie ornate di banconi ed armadii di noce. Nella ultima, ove si conservano bellissimi paramenti, la tela dell'altare rappresenta s. Andrea in Croce che era al soffitto della Chiesa Vecchia, buon lavoro del menzionato Postiglioni. Di sé fanno mostra dall'alto li Ritratti di Abati Commendatarii dal Cardinale Carlo Barberini agli Emi Pietro Ugo Spinola odierno Pro-Datario e Paolo Polidori. Fra questi si numerano i due sommi benefattori di Subiaco Pio VI che fondò la Chiesa, e Pio IX, che le ha donate annue rendite. Nel vuoto angolo è da porsi il Ritratto dell'Eminentissimo Cardinale Don Girolamo D'Andrea, alla di cui splendida beneficenza il Regnante Pontefice; perché da troppe cure occupato, ha conferita la Sede Abbaziale.

Da un ingresso nel medesimo Vestibolo, oppure dalla Piazza si penetra nel Seminario. Ivi sono pubbliche Scuole di Grammatica Latina e Italiana, di Rettorica, Filosofia, Teologia, Istoria Ecclesiastica, e d'Istituzioni di Gius Canonico; vaste camere per gli Alunni, una copiosa Biblioteca, ed un grazioso Teatro.

Per la comoda e larga strada Gregoriana si arriva alla Piazza del Campo, così detta perché vi si accampavano le Truppe de' Baroni. Quivi Giacomo Sciarra Colonna fece propaginare ossia, seppellir vivi diversi Subiacesi che dell'Abbazia coi nemici teneano. Ora ogni sabato con l'universale concorso de' vicini Castelli vi si fanno nell'inverno i liberi Mercati concessi per la prima volta nel 1472 dall'Abate Commendatario Roderico Borgia, allora Cardinale, poi sommo Pontefice col nome di Alessandro VI.

A destra della Casa de' Monaci la Via guida all'Isoletta degli Opificii, ove i Livori di ferro, le fabbriche di cotoni torti, le mole a grano e ad olio, le gualchiere, e la Cartiera istrutta d'ogni sorta di macchine offrono al Pittore l'occasione di ritrarre le vesti e gli atteggiamenti degli abitanti di montagna, de' Fratelli di Bronte e Sterope, ed a tutta la Città le più grandi risorse contro l'indigenza. Per la selva di annosi pioppi si ascende in luogo, dove un grandioso traforo aperto nel seno della rupe dall'Abate Commendatario Antonio Barberini verso il 1636 ingoia la maggior parte del fiume. Questo però avanti di nascondersi là dentro passando rasente un lastrico di grosse pietre, chiamato Parata dal proibir le frane alla declive rupe, gli scaglia sopra un furioso torrente. Il fumo che svolazza per l'isoletta dirimpetto, rivela una cascata, la quale celar vorrebbe il mormorio delle sue acque spezzate. Nel corrente anno la munificenza dell'Emo D'Andrea ha fatta ricolmare una caverna profondissima che, schiusa dalla violenza dei fiume sotto la Parata, sembrava la volesse inghiottire.

Al pie' dell'alto camino della Cartiera, qualche mese addietro è venuto a luce un profondo respiratorio di un acquedotto scavato nel vivo masso. Sceso ad imo con una scala ed un lume ho vedute le pareti ad arco acuto adorne di stalattiti in modo singolare variate e gentili, prodotte dalle acque degli Opificii sopra correndovi trapelano ed hanno ostrutto, il proseguimento in ambedue i capi. Nel visitare la parte rivolta al fiume mi fu duopo staccare una grossa radice per non isdrucciolar nel fango: pescavano i piedi nell'acqua che su la testa e le spalle mi pioveva. Uscito di là sono andato al forte muraglione che dritto reggesi sull'altra riva, e gli ho visto forato il seno da vasto speco. Evidentemente lo scoglio che incontro ed ai lati si sublima e questo muraglione che si conosce tronco, formavano la cinta di un laghetto. Può darsi che Plinio nell'accennare i tre laghi sublacensi abbia inteso anche questo; ma io credo, aver fatta un'altra scoperta rilevante. Egli è gran tempo che le rive dell'Aniene perlustro fino a 6 miglia verso Tivoli; ma non ho trovate le vestigia della Piscina Limaria, nella quale secondo Frontino l'Aniene Nuovo si purgava. Dopo il discoprimento dell'Acquedotto, più chiara della luce mi si è mostrata la identità della Piscina col descritto Laghetto. Ecco le parole di Frontino, lib. de Aquaed. Art. XV: A faucibus Ductus interposita est Piscina limaria, ubi INTER AMNEM ET SPECUM consisteret et liquaretur aqua. Lo Speco della Cinta torcea a destra ad imboccare nel Condotto da me visitato, riusciva nell'orto de' Rev. Monaci, nel quale si palesa composto di muro, e ritorceva fino all'orto del Seminario. Da ciò apparisce il sogno del Cluverio, Olstenio, Volpi e tanti altri estensori del secondo lago sublacense da questo muraglione al ponte di s. Mauro. Noi assegneremo ai tre laghi il vero confine. Corrisponde a capello la natura delle campagne attornianti la Piscina lunaria con la descrizione fattane dal medesimo Frontino nel riferito Articolo XV: Anio Novus Via sublacensi ad milliarium XXXXII in suo rivo excipitur ex flumine; quod cum TERRAS CULTAS circa se habeat SOLI PINGUIS, et iride RIPAS SOLUTIORES, etiam sine pluviarum iniuria limosum et turbulentum fluit: ideoque a faucibus Ductus interposita est piscina limaria, ubi inter amnem et specum consisteret et liquaretur aqua. Sic quoque quoties imbres superveniunt, turbida pervenit in Urbem. Anzi l'estremità del piano di Soripa a ritener le frane venne fortificata da muraglie tuttora visibili in alcuni punti. La sola difficoltà potrebbe nascere ed è nata dalla distanza di questo luogo da Roma per la via moderna di 45 miglia. Ma ancorché non voglia ammettersi un errore de' Copisti nel passo allegato di Frontino, se riflettasi che la Via moderna schiusa da Pio VI è più lunga dell'antica pel fiume che si ha scelto un alveo maggiormente tortuoso, come riferisce una lapide al Diverticolo di Arsoli, se si considerino i nuovi ponti fondati in luoghi solidi, i giri protratti dall'Architetto per viste particolari, e molto più se facciasi ragione al metodo usato dai Romani di evitare le sinuosità, avrassi minore assai la distanza da Roma a Subiaco.

Nel tornare indietro per la Via de' Ferrari si osservi a sinistra una Vergine da s. Francesco ferventemente venerata ed avente su le ginocchia il Divino Infante che bacia con atto carezzevole e soave s. Giov. Battista bambinello anche lui. Pittura del Manente. Trascorsa nuovamente la Via Capo de' Gelsi, per quella delle Monache si va al Monastero delle Benedettine, ove sono due pregevoli Quadri rappresentanti la Nascita e la Decapitazione di s. Giov. Battista. Tanto nel muro esterno del Monastero come al principio della Via della Valle sotto due finestre ghibelline sono due affreschi del sec. XV. Nel primo è dipinta la Madonna col Bambino, stà nel secondo il Salvatore tra s. Benedetto e s. Francesco.

Dalla Piazza della Valle si entra nel portone della Rocca. Nelle mura de' Recinti veggonsi le feritoie, e in un angolo diversi bellissimi capitelli, pezzi di colonne ed altri marmi dissotterrati, sotto Pio VI, dalle ruine d'Arcinarso. Nell'ultimo Recinto la veduta è teatrale. Digrada la Città nell'amena vallata che messa ovunque a viti ed a pomieri offre all'occhio, il colore, di cui meno si stanca, e lo spettatore convince, non esservi agricoltori più industriosi e infaticabili de' Sublacesi. Dopo aver maggiormente imbianchite le sue acque intorno l'isola degli Opificii, si calma il fiume, e serpeggiando nell'alveo da spessi salici ombreggiato gli dispiace abbandonar la pianura, riposo alle sue lunghe fatiche tra le rupi. Le colline al sud serbano in qualche tratto boschi di querce e castagne, i qual allor che non erano diradati gettavano un rezzo invisibile al raggio solare, e disserravano per tutta la valle l'ossigeno, con le dense fronde, il passo vietando allo scirocco. Uno di que' Colli chiamasi delle Forche, perché a' tempi feudali una mattina furibondo il Popolo vi mirò inforcati ed esanimi sette individui delle principali Famiglie. In una collina più a ponente due querce i ruderi accennano di Tuccianello, propugnacelo del Sublacense Monastero. Nella cima di scoglio altissimo il Castello di Civitella occupa il luogo di Vitellia,dagli Equi nel 360 di R. distrutta. Dopo la minore altura verdeggiante ai pie' di Rocca s. Stefano, l'aspro dorso del Monte Crufo sostiene Canterano, Rocca Canterano e Rocca di Mezzo. Quindi restringonsi i monti facendo vedere le loro opposizioni di bianco e di azzurro colorate dal sole. Ne' colli al nord si dilettano del meriggio foreste di olivi e lunghi filari di viti sino alla nuda montagna, nella quale sotto la rotonda balza di Mora Ferogna alcune fabbriche in ruina fan risovvenire della miracolosa colonna di fuoco che tenea dal cielo alla terra, indizio del trapasso della Vergine che per 59 anni visse ivi in una Grotta. All'oriente Afile, romana colonia, spunta alle radici degli alti monti che da esso ricevono il nome e son cava di pietre simili al marmo. Il sol pennello potrebbesi avvicinare a descrivere le due montagne dirupate e gigantesche, le quali paiono divise come Calpe ed Abila da una lunga inondazione del mare. Su per quelle aspre pendici si affaccia dietro un bosco il celebre Sacro Speco. Al di sotto ove ora stà piantato il Monastero di s. Scolastica avea principio la Villa Neroniana.

Non fu giammai tanto imponente la descritta Veduta quanto la sera 27 maggio, 1847. Cessavano per l'oscurità di brillare i terrestri colori confondendosi, quando le nubi a riflettere cominciarono gli splendori dell'Astro morente. Sparpagliatesi per tutto l'orizzonte imitavan le forme de' mostri favolosi, ardeano, struggeansi, in diversi aspetti si versavano, Protei novelli. Ma già la Notte, rimossa la causa delle trasformazioni, avria distrutto l'incanto, se una grande massa di luce non fosse apparsa dal torrione di s. Benedetto, dal Monastero di s. Scolastica e dal Casino Bagnani, intorno intorno diffondendo un'aureola d'argento. Allora tre mila lumi sfolgorarono sul tetto della Cartiera, in un attimo s'illuminaron le finestre della Città, e nella strada della Corsa in due lunghissimi festoni di busso tremolavano dipinti palloncini. Si accesero cento falò nelle montuose cime dai Pastori; a festa illuminate le Terre Abbaziali o con fuochi di artifizio nell'aria segnavan lucide vie, o davano il volo ai globi aereostatici. Frattanto una Processione di popolo si aggirava per li stradoni di questa Rocca medesima con fiaccole a vento nelle mani. Fermatasi nell'ultimo Recinto a tutta voce diessi a chiamare la benedizione del supremo Gerarca della Chiesa, Pio IX, giunto in quello stesso dì a Subiaco. Completo silenzio successe all'aprirsi d'una finestra, e s'intesero risuonare le parole di benedizione, mentre le variopinte fiamme del bengala ripercuoteansi nelle pareti. A quell'atto solenne e sublime io estatico rimasi, grandi ajuti prevedendo alla mia Patria dalla benevolenza di sì grande Pastore.

Pria di ascendere la Scala a due rampe dell'Ingresso principale, il Riguardante da una lapide affissa al muro apprende che questo Palazzo era una Fortezza per la prima volta edificata dall'Ab. Subl. Giovanni V. I consanguinei dell'Abbate Angelo da Monreale, troncate le teste ad alcuni Primarii Subiacesi, a maggiore opprobrio de' Condannati ed infamia de' Parenti i sanguinosi capi gettarono dalle mura della Rocca nel Castello. I Parenti degli uccisi per tale detestabile immanità chiamarono all'armi il Popolo. In un momento la Rocca fu assalita, saccheggiata e messa a fuoco. Appena riuscì al debole Barone per via sotterranea co' suoi a mettersi in salvo. Tôsto però fu l'arso edificio rimesso in piedi. Nel 1476 lo risarcì Roderico Borgia con aggiungergli una Torre munita di cannoni a tutela (come dice l'Iscrizione) de' prossimi Confini del Romano Impero. Alla Torre il Fondatore stesso diede il suo cognome. Indi Francesco Colonna, Arcivescovo Tarentino lo ristaurò, dopo esserne stata demolita la metà dall'esercito di PP. Clemente VII nel 1526. Ma cadente per vetustà, Pio VI, unite tutte le fabbriche, all'attuale stato lo ridusse. A destra l'Appartamento Colonna introduce alla Cappella. Il quadro del Guercino è a lume di notte. Vi sta s. Pietro pensieroso e contrito, mentre nell'alto apparisce la rossa cima, la testa e 'l collo del gallo. Irto di aguzze punte di ferro innanzi alla Porta della Sala del Bigliardo calava a fondo il Trabocchetto, orribile e crudele istrumento della giustizia ed ingiustizia baronale. Nella volta della sala sta dipinto Marc'Antonio Colonna dopo la vittoria, di Lepanto trionfante in Roma tra le esclamazioni dell'esercito ed assiso sopra un carro da 4 cavalli bianchi tirato. Nelle mezzelune intorno le pareti sono gli stemmi de' Colonna rivestiti di qualche insigne dignità.

Nell'Appartamento Nobile sono rimarchevoli le facciate delle antiche Chiese di s. Andrea e s. Maria della Valle, perché distrutte. Esse stan dipinte in legno come i Castelli dell'Abbazia. È da considerarsi l'antico vestiario di que' paesetti diverso in ciascuno di essi. Nella quinta Camera dipinse il Coccetti egregiamente le 4 parti del Mondo in Prosopopea, frammezzate dalla Fede, Speranza, Carità. Nel centro della volta portano i Genii lo stemma di Pio VI con l'epigrafe: Aera quidem absumit Tempus, sed tempore nullo sentiet interitum Gloria Pontificum. Nella sala del Trono Papale in un quadro Gherardo delle Notti rappresentò al buio G. C. deposto purora dalla Croce, come accenna la scala che vi poggia. Giuseppe d'Arimatea insieme a Nicodemo ne involve il nudo corpo nella sindone, allor che la Vergine in mezzo alle tre Marie deplora, chinandosi sul cadavere, la morta spoglia del suo Unigenito. Una lucerna ardente schiara ove più dove meno i volti e i panneggiamenti, il canestro de' chiodi e 'l vaso degli aromi. Tutto il mobilio di questo Appartamento come anco le riparazioni alle pitture danneggiate si devono alla munificenza del Regnante Pontefice.

Tornando alla Piazza della Valle, ed uscendo dall'Arco che forma una Porta, si giunge presto alla Chiesa appellata la Madonna della Croce. Ha finestre oblunghe, archi a sesto acuto, e in un semicerchio girano sedili di muro. Entrando nel Cancello a sinistra si osservino alcune Vergini col Bambino in braccio venerate dai Santi Protettori di Subiaco. Da una Relazione esistente ms. nell'Archivio de' RR. PP. Cappuccini rimane attestato che per una pia tradizione a lato dell'Altare era un'Immagine della Madre di Dio col Bambino in braccio, ma dalla umidità del tempo guasta, erasi all'età dello Scrittore quasi del tutto cancellata. L'11 Maggio del 1667 ricomparve senza macchia veruna per un'ora, poi si ricoperse di macchie. Ai 19 dello stesso mese si rividde per lo spazio di sette ore fino all'Ave Maria. Ai 6 di giugno su l'uscir del sole scoprissi il solo volto per alcune ore. Finalmente nel dì 28 la sola faccia riapparve figurata con sì vaghi e freschi colori come se un Angelo invisibile la dipingesse. Il Narratore dice, ch'esso santissimo Volto in tal maniera ha continuato e continua. Presentemente non il solo volto ma il corpo ancora della figura si scorge, indizio che fu ritoccato. Nella parete a sinistra un s. Sebastiano è vestito secondo l'uso de' militari al tempo del Pittore. Passando nell'altra Cancellata in un lato della nicchia in fondo s. Antonio Abate sostiene con una mano la sua Chiesa che sta presso il Ponte degli Opificii.

Mezzo miglio più lontano sopra un amenissimo colle biancheggia a ridosso d'un piano bosco il Convento de' RR. PP. Cappuccini. La fondazione di esso devesi a Marco Antonio Colonna Abate Commendatario, il quale nel 1575 essendo Legato Apostolico nella Campania catturò il famoso Crassatore Luca Negro Sorano, e unitamente ai Complici dannollo a morte in Anagni. Il denaro che loro si potè trovare, ascendente alla somma di mille cinquecento scudi d'oro, lo erogò alla fabbrica di questo Monastero.

Dopo il ritorno alla Madonna della Croce, si prenda il viottolo superiore fiancheggiato da miseri casolari contadineschi, e si fa capo al muro cui sta affissa una croce. Chi crederebbe che in quell'orto dove ora crescono gli olivi, fosse non molti anni addietro la Chiesa Parrocchiale tanto antica, che dalla comune Tradizione popolare vuolsi denominata Sancta Maria ad Martyres, perché eretta sul sepolcro de' Martiri fatti uccidere da Nerone nella Villa Sublacense? Un malinteso spirito di novità e d'ignoranza ne fe' demolire anche la torre delle Campane, onde servisse di materiali alla nuova. Invano ora nel propinquo Colle si cercherebbero le vestigia di uno de' 12 Monasteri di s. Benedetto, chiamato s. Angelo in Balzis, avendo già scritto il Mirzio: «Monasterium s. Angeli in Balzis a Sublacianis hac nostra aetate funditus dirutum est, absportatis ad reparanda Castri moenia lapidibus». Nella Piazza della Valle scorgesi la rozza facciata della novella Chiesa di s. Maria. L'interna architettura è lodevole. In una Cappella a destra osservisi il quadro, egregiamente dipinto dal Manente, rappresentante la Risurrezione del Figlio della Vedova di Naim.

La Via carrozzabile per montare alla Rocca, ombreggiata dalle bizzarre foglie intrecciantisi degli alberi esotici, passa innanzi al Palazzo Moraschi non ancor terminato, ed a quello innalzato dal Cardinale Commendatario Giovan Battista Spinola e detto della Missione, perché un tempo è stato albergo de' PP. Missionari. Chi riparerà le ruine che nel presente stato di abbandono minaccia questa fabbrica colossale?

Vicino alle due nuove Locande della Pernice e d'Europa, si rivolga il cammino verso l'Arco di Pio VI. La Strada rettilinea chiamata della Corsa ritorna alla memoria l'assalto sostenuto contro i Francesi nel 1799 dalle truppe irregolari comandate da Gian Pasquale Caqoni. L'esercito Francese ristretto nella valve era posto a bersaglio dagli Armati che tutte le alture presidiavano e degli alberi si faceano schermo. I soldati tiravano archibugiate da ciechi, non distinguendo la direzion de' colpi. Quel giorno avrebbe illuminata o la loro strage o la loro vergogna, se un drappello di Sbirri messo a tutelare il colle di Moracasca dominante Subiaco, non si fosse gettato al partito nemico. Allora i Cittadini vedendosi traditi nel sito che più difesa meritava, si diedero a fuggire sui monti, ma non sì che parecchi cui si rinvennero le mani lorde di polvere da schioppo non venissero fucilati all'istante, e le abitazioni patirono il saccheggio di tre ore, anzi poco mancò, non fossero date alle fiamme.

Il Ponte a sinistra della Corsa che difeso da una torre pittoresca lancia sull'Aniene l'unica arcata, rammenta un'insigne vittoria riportata dall'Esercito Abaziale nel 1356 contro i Tiburtini. L'Abate Ademaro, francese di nazione, che avea, di lungo scudo coperto, presieduto al combattimento, innalzollo con le spoglie e riscatto de' prigionieri. Gli storici Tiburtini hanno negata la vittoria. Omettendo le insulse dicerie del Sebastiani, il di cui riso muove a rabbia, risponderò alle ragioni con più colore di verità addotte dall'Avvocato Sante Viola. Ei crede inverosimile questo combattimento perché il Mirzio che lo racconta, ricorre ad un miracolo, cioè all'apparizione di s. Benedetto che spaventò i Tiburtini vittoriosi; poiché in tal caso quel Santo avrebbe prese le parti di un Abate empio e crudele qual era Ademaro, il quale si piacea nel tormentare tutt'i limitrofi Castelli.

Sembra che l'Istorico in questo punto non abbia letta la Narrazione Mirziana, o siesi fatto ingannare da chi dicea averla letta. Chiaramente infatti dice il P. Mirzio nella sua Cronaca MS. Sublacense, che l'apparizione di s. Benedetto fu meramente raccontata dai prigionieri tiburtini: «In eo conflictu, ut fertur ex Majorum relatione captivi retulerunt, se Virum monasticum repraesentantem habitum districto gladio ipsis pugnam subeuntibus comminitantem in aere conspexisse, et procul dubio S. P. N. Benedicti speciem extitisse, qui certo tutelari numine Sublacenses conservasset. Istius miraculi fides apud Tiburtinos relinquitur». Dunque non è vero che Mirzio abbia creduto e raccontato per vero un tal prodigio.

In secondo luogo, dice il Viola, se avvenne la battaglia, devesi credere che vincessero i Tiburtini, i quali secondo lo stesso Mirzio erano vincitori al principio della pugna. Ma questo argomento zoppica peggio del precedente. È falso falsissimo che il Cronista ponesse la vittoria al cominciar della zuffa dalla parte de' Tiburtini, e per non dar sospetto che io ciò affermi senza fondamento, ne ricopio tutta la descrizione. Dopo aver detto che all'esortazioni di Ademaro i soldati golosi di preda e disposti tra le selve assalirono alla fronte ed alle spalle i rivali, così prosiegue: «Nec animis defuere Tiburtini, natura superbi, quin impigre atque imperterriti restiterunt. Atrox utrinque committitur certamen patenti in campo qui vulgo Darcus dicitur, tantaque vi, tantaque animorum pervicacia res agitur, ut nusquam ea in provincia acrius aut cruentius memoria hominum fuerit dimicatum. Abbatiales enim pariterque Tiburtes omnes vires cunctasque bellandi artes in id unum pugnae discrimen contulerunt, haud ignari pro vita atque imperio ultimo eo certamine praeliari, quando summa utrinque praemia aut supplicia victis atque victoribus manerent. Ibi videre erat levis armaturae pedites Tiburtes circumvenire, et audacter intentis hastis invadere, et si paululum turmae laxarentur, miro celerique impetu intercurrere, cuncta perrumpere, clavis ferreis et gladiis atrocia infigere vulnera; alii hastarum cuspidibus inducebantur, alii sagittis confodiebantur, cum alii super abos cumulati, prementibus ultimis occumbebant, coacervatis passim cadaveribus. Pugnatum est simul uno tempore totis castris per aliquot horas, magna utrinque contentione, ita ut defatigatis nihil spatii ad recipiendum vires relinqueretur. Tandem Abbatiales usu belli periti laborisque patientes, sicuti aequitate loci atque virtutis superiores erant, ita Tiburtinorum impetus egregie sustinuerunt. Adversa tandem fortuna perterriti Tiburtes, urgentibus incessanter Abbatialibus, reliquisque magna ex parte consauciatis, caeteri signum deditionis extulerunt, projectisque armis, pacem vitamque expostularunt».

Finalmente il nostro Avvocato dubita di tale attacco, perché i Fasti Tiburtini non lo riferiscono. Questa ragione è di nessun peso, specialmente dopo ch'egli stesso in occasione della perdita di una battaglia de' Tiburtini contro Corrado di Antiochia, Conte di Anticoli, afferma che niuna menzione di essa trovasi ne' patrii Archivi. La causa del silenzio milita per Noi. In quei tempi d'ignoranza i pochi scrittori cercavano tutti i modi di falsificare o seppellire in Lete i monumenti di sconfitta del proprio partito.

Siffatta vittoria inoltre è autenticata dalla Tradizione che viva sussiste nella bocca del Popolo Subiacese, dalle armi che scavando nel prossimo Campo di battaglia vengono spesso a luce, e dal nome della contrada cioè Campo D'Arco, il che vuol dire un Campo, il quale è stato causa della fabbrica dell'Arco secondo il volgo ossia Ponte ad un sol arco.

Il Pittore che vuole con effetto dipingere il Ponte vi si porti nelle mattinate estive un'ora innanzi al meriggio. Vedrà i Pastori farsi sul margine del fiume, ed abbrancato un montone lanciarlo nella corrente. Immantinenti le pecorelle piuttosto si cacciano dietro lui che vengono spinte, e fatto il tonfo vanno belando e nuotando con le teste e le groppe a fior d'acqua, tutte quante addossandosi e premendosi finché giunte riva scuoton la bagnata lana, e pascono l'erbe. Per solito i grossi Cani di guardia si accosciano sulla ripa dalla quale esse gettansi, e sulle gambe anteriori appoggiato il muso, dilettansi nel vedere i salti e il nuoto delle protette.

Passato il Ponte con breve cammino giungesi al Convento de' RR. PP. Riformati fondato da s. Francesco stesso allorché in questo luogo la Chiesuola di s. Pietro nel deserto nel 1223 dall'Abate Giovanni VI gli fu donata. Il Cenobio però assai vasto e la Chiesa fu eretta dal Comune di Subiaco nel 1327. Il Coro e forse anche gli altari, con colonne di noce ed egregiamente intagliati furono lavoro di un Reatino nel 1504. Sono degni della visita di ogni colto Viaggiatore i Dipinti della Cappella spettante all'antica Famiglia Sublacense Mancini, ai quali è stato tolto il bianco passatovi sopra vandalicamente. Si ammirino nella volta gli Evangelisti non che la maestosa figura del Redentore. Nel muro a destra è ritratta la Crocifissione di N. S. alla presenza de' santi Benedetto e Francesco. Nella parte opposta sta per entrare nella Casa di s. Anna una Donna con in testa un canestro, mentre nella Camera contigua oltre la mensa imbandita scorgesi un gatto col sorcio fra i denti. Nella stanza nuziale poi una donna monda la nata Bambina, e alla madre sedente sul letto una vecchia presenta il brodo ne la scodella. Indi alla presenza del sommo Sacerdote assiso in trono e vestito da Papa, la Vergine impalma suo sposo Giuseppe. La presenza di un prete ed il vestiario di tutte le figure di questa Cappella convincono l'intelligente che il pittore ritrasse dal vivo uomini e donne subiacesi del suo tempo cioè del secolo XVI. La bellezza dei volti, la semplicità dell'espressioni raccomanda queste pitture alla posterità. Peccato che la fascia de' chiaroscuri corrente al pie' della parete dalle imbiancature e dalla umidità sia guasta anzi in molte parti scrostata. Della preziosa tavola sull'altare, nella quale è colorito il Presepio e la venuta de' Re Magi, si tenga maggior cura. Pure nella Cappella seguente del Crocifisso sono affreschi del medesimo stile liberati anch'essi dalla calce.

Villa Neroniana Sublacense, Casino Gori, Cascata di s. Benedetto.

La Strada che trapassa il ponte di legno presso la Chiesuola di s. Antonio, sepoltura de' condannati a morte, ed annessa ad un povero Ospedale, lascia a dritta la Via della Pila, e monta al Prato di s. Lorenzo. Piace assai l'amenità del sito e serve nelle feste al popolo di passeggiata. Vi sta eretto un Eremitorio in onore del Martire da cui riceve il nome. Da una Carta di donazione esistente nell'Archivio di s. Scolastica è attestato che Narsio Patrizio Romano fondasse questa Chiesa nell'anno 369 della E. V. Pierantòni e Mirzio affermano che fu eretta sopra un Tempio pagano, ma non so dove abbiano estratta questa notizia benché verosimile. Appellavasi ad Aquas Altas, non già (come stoltamente scrisse il detto Pierantòni) perché a tale altezza arrivava il Lago, ma perché Nerone avendo prese le acque dal Lago per un traforo nella rupe e per condotti, che spesso si scavano nel prato e ne' limitrofi campi al nord, la distribuì ancora a questa parte della sua Villa. Quindi Trajano forse allungò il traforo, scaricando le acque al grande condotto visibile nella via della Pila. Ho detto forse, perché non è visibile il proseguimento, se pure fu mai eseguito, poiché nessuno ne parla. Il solo Frontino dice che all'Imperatore Nerva Trajano erane venuto il pensiero, ma non si conosce se ad altre cose intento mandasse ad effetto l'utile impresa. Così ancora del Palazzo Imperiale, postovi da qualche Autore, non si ravvisano vestigie.

Due Cipressi insegnano il Casino Bagnani ora Gori. Giace in dilettevole situazione riparata dal vento. Il Casino è ornato di alcuni paesaggi e di 23 bei quadretti di porcellana esprimenti cacce e villerecci costumi. Attirano però maggiormente l'attenzione due Quadri. Nel primo a lume di notte discernesi David sino alla cintura. La sua testa denota coraggio e fermezza. Di forte carnagione abbrunita dal sole, ove non sono le membra coperte dal manto pastorale, ha egli le braccia nerborute, usate a strangolar leoni, e e dalla pelle traspare l'incavo e protuberanza delle ossa. Con la man destra regge la fionda, posa la sinistra sulla guardia della spada, il cui pomo è appoggiato sopra la smisurata testa di Golia. Aperta il Gigante ha la bocca, spenti gli occhi. Ampia ferita gli vaneggia sanguigna nel mezzo della fronte. Nel secondo Quadro s. Maria Maddalena in una Grotta presso un bosco, con le mani piegate sopra un teschio, medita le Divine Scritture davanti alla Croce. Gli occhi e la bocca semiaperta annunziano sommo dolore. Con le chiome che in bionde anella dal capo le fluiscono e col negligente velo copre la spalla sinistra e parte del petto. Le gote leggermente colorate non che la pienezza e leggiadria delle bianche carni mostrano che non ha guari è là entrata a far penitenza.

Nella piazzetta due alti salci piangenti mescolano le chinate chiome. È dilettevole seguire il viale ombreggiato dai due pergolati e dagli alberi che amano consociare i densi rami. Esso conduce al Giardino che nello spianato superiore olezza non ostante la mancanza di acque nascenti, e ad una Grotta circondata da sedili. Innanzi a questa sono pilastri di cardellino capricciosamente lavorati dalle piogge. Nell'interno il lume pendente dalla volta dipinge notte tempo le sporgenze e cavità dello scoglio di vari colori alternati dall'ombra e dalla luce. Di rimpetto punta i fianchi il Ponte Rapone sulla rupe che bruna si profonda nel mezzo: ed è orribile ne' temporali estivi lo scorgere un borro con strepito sparger di schiuma il seno di quella montagna, facendo due salti altissimi, e ripercuotere invece de' raggi solari il truce baleno de' lampi. Nella vigna l'uva esposta quotidianamente al sole riesce dolce ed atta a conservarsi per interi lustri; ed ubertoso di frutti scelti è il pomario. A tuttociò se aggiungasi la grata visuale di pianure clivi e montagne pittoresche, si rimarrà persuaso, esser questo un luogo il più idoneo al ricreamento e riposo dell'animo affievolito dai mali e dalle cure.

Uscendo alla via rotabile o via Nuova, si percorre il grande traforo del monte aperto sino a 20 metri di profondità ad angoli entranti e scendenti sino al Ponte Gregoriano o di s. Mauro, il tutto eseguito, con disegno dell'Ingegnere Sig. Domenico Bisutti. In questo luogo due montagne, vestito il pallore delle rupi di verde ammanto, si vanno ad incontrare. La sommità di una è corsa da sublimi querce in fila, per quella dell'altra irta di arbusti rapiscono sovente e pascolano i leggieri animali sacri al Dio di Epidauro. Il Ponte ne' due opposti fianchi pianta l'arditissimo arco, e per l'altezza ed il fiume che nel fondo rugge del precipizio dà un'idea del Ponte del Diavolo in Isvizzera. A sinistra sul ponte un viottolo mena al Traforo schiuso da Nerone e forse allungato da Trajano stando alle parole di Frontino Art. XCIII. De Aquaed: «Nec satis fuit Principi nostro (Trajano) ceterarum (aquarum) restituisse copiam et gratiam. Anionis quoque Novi vitia excludi posse vidit. Omisso enim flumine, repeti ex Lacu, qui est super Villam Neronianam Sublacensem, ubi limpidissima est, jussit. Nam cum oriatur Anio supra Trebam Augustam, seu quia per saxosos montes decurrit, paucis circa ipsum Oppidum objacentibus cultis, seu quia Lacus altitudine in quo excipitur, velut daefecatur, imminentium quoque nemorum opacitate inumbratus, frigidissimus simul ac splendidissimus eo pervenit. Haec tam felix proprietas aquae, omnibus dotibus aequatura Marciam, copia vero superatura, veniet in locum deformis illius ac turbidae, novum authorem Imperatorem Caesarem Nervam Trajanum Augustum praescribente titulo». Da questo squarcio aumentasi il dubbio, se fosse effettuato il compimento del traforo, giacché non si legge mai che le acque dell'Aniene Nuovo, arrivassero ad eguagliare la bontà della Marcia. La cinta del secondo Lago s'inabissava poco sotto la balza della rotonda Edicola, come provano i disorbitanti muraglioni che spezzati ora impediscono la corrente. Sarà certo grata ai Lettori la descrizione che qui copio dal Mirzio, onde si comprenda la causa per la quale non solo questo Lago ma ancora la Piscina limaria cessarono di esistere : «Anno 1305 vacante Sede Abbatiali, die 20 Februarii, turbidior et severior tempestas, quam numquam antea ullus hominum meminisset, aut literarum memoria prodidisset, ex Symbruinis circumvicinisque montibus descendit, usque adeo inusitata, ut plenissimis imbribus atque his concreta ex nivibus glacie, alterum Saeculi Diluvium oriri dubitaretur. Nam certantibus inter se ventis ea fuit rabies, ut transversis flatibus nivosa montium culmina verrerentur, qua horribili procella non solum prata vallis Sanctae, verum etiam rivi agrorum aquis in speciem amnium atque torrentium extumescebant ita ut campi passim in stagna conversi, et viae itineraque confusa fuerint. Monachi vero D. Scholasticae cum propter immensam fluvii inundationem dubitarent, ne quid deterius succederet, per duos caeteris Monacis animosiores de supremo Laci muro aliquos lapides grandes extrahere fecerunt, quo alluvies aquarum nimia titius efflueret. Porro inundationis impetus tam vehemens fuit, ut murus cum minime sustinere potuerit, sed in alteram partem inclinatus ad terram ruerit. Eamdemque vehementiam inferioris Laci murus passus est, quandoquidem cum aquarum violentiam ferre nequiret, deturbatus concidit. Effusum autem istud diluvium proxima non solum occurrentia quaeque diruit aedificia, verum etiam pontes, licet fortes sublicios, puncto temporis prostravit atque disjecit, nam et fundamenta pontis Pantanelli abripuit. Eodem impetu egregia Mandrae nolendina a fundamentis subversa sunt. Inde per Sublacensem Vallem Campi Darci horribili fragore delapsus Lacus agrestes homines in campis occupatos cursus celeritate depraehendit, ut neque miseris repentina calamitate oppressis in proxima editiora loca spatium dedit, aucta profluentis violentia evadendi tempus: occupatis namque late campis miserabiliter homines pecudesque nullo discrimine perierunt».

Chi ascende alla cima del monte, nel seno del quale fu operato il Traforo, sorpreso rimane al mirare tre larghi e lunghi fondamenti di un edificio romano. Io credo che qui sorgesse il Palazzo di Nerone e non l'Ippodromo con le mete e le piramidi come sognò il Contestabile. Venuta meno la cura delle Ville imperiali, forse sotto Costantino anche questa fu alienata ai Privati. Liberti e Schiavi badando solamente a lavorar la terra, con il consenso del Padrone usarono delle malandate mura del Palazzo per formare i loro Casolari. Infatti nell'area stessa del Palazzo sussisteano ancora pochi anni fa le case di quei Rustici, all'aggregato delle quali per la forma del terreno fu dato il nome di Pianello, nome che tuttora la Contrada ritiene. Gli altri servi della Villa alzarono i loro abituri, altri nel Prato e Strada di s. Lorenzo, ed altri nel sito della Cartiera chiamato Mandra, perché le casette erano fatte di legno con opera tumultuaria. L'unione di tutti questi campi ed abitazioni appellavasi Corte di Sublaco essendo surta ne' termini della Sublacense Villa ossia di Sublaco. I confini della Corte dimostra evidentemente la citata Carta di donazione fatta nel 369 da Narsio Patrizio Romano alla Chiesa di s. Lorenzo posta nella Corte di Sublaco che dal corso del fiume e dal lago distendesi alla stessa Chiesa. Benché tale Notizia sia interessantissima per chi tratta dell'Origine di Subiaco, non fu sino ad ora osservata da alcuno.

Quale magnifica visuale godersi dovea dal Palazzo Imperiale! Nella pianura al sud i giardini diffondeano per aria soavi fragranze. Al nord la rupe che di terra spolparono le tempeste, formava un'area piana lieta di molti fiori e di piante e cespugli di carpino e di bosso, che in immensa copia tuttora vi germogliano, dall'arte topiaria ridotti a forma di animali e di lettere. La gola delle montagne era tutta rivestita di eccelsi alberi che riversi specchiavansi nel Laco. Dalla rotonda edicola di s. Mauro biancheggiavano le Terme ed altri edilizi sino all'Orto di s. Scolastica. Un vasto Ponte lanciava unica e forte arcata, congiungendo le due ripe. Cento scafie altalenavano sulle onde piluccate dal soffio amoroso di favonio. Un'insegna purpurea sventolava sulla più magnifica, nella quale dilettavasi Nerone con rete d'oro pescar le trote. I Pretoriani guardavan le alture, e dalle aurate tuniche, dalle lance e dagli elmi rimandavano i caldi raggi del sole. Chi potrà indicare il luogo, dove l'Imperatore annoiato dalla pesca tra gli adulatori, i mimi e le cortigiane si assise a mensa? Dopo un tratto nere nubi velarono il giorno, anzi scoppiò fiera tempesta accompagnata da tuoni e lampi. Egli ebbrio, credendosi maggiore de' Numi «Inutilmente, o Giove (gridò) cerchi spaventarmi con questi tuoi strepiti» allor che un fulmine percosse le vivande e la tazza che il Derisore alle labbra si appressava. Ricordossi allora di esser mortale, e tremante corse a rintanarsi nel più remoto canile.

L'edilizio, detto la Casa de' Saraceni, composto di sette Celle con segni d'intonacatura e colorito, è stato preso da qualche Scrittore per Tempio a cagione delle nicchie che vi sono. Ma osservandovisi nello scoglioso pavimento i canali, si apprende, aver servito di Ninféo. Il Contestabile scrive che si trovò qui vicino una Lacunaria, il cui fondo era terziato con qualche disegno di fogliami, sebbene era rovinata in molti luoghi, discoperta dalle gran piogge, loco (nel luogo) dove il Sacerdote soleva talvolta lavar le vittime. Non avendo noi veduto quell'oggetto non possiamo giudicare a che servisse e cosa fosse. L'edifizio è di opera reticolata, e fortissimo il che prova col reggere massi enormi sul capo rovesciati dalla montagna, col resistere alle divisioni che far ne vorrebbero le radici di tante piante ricercandone tutte le membra, e con l'aver sostenute tanti secoli le ire degli elementi. A basso sta dritto un pilone dell'antico Ponte, di cui nel sec. XIV, secondo l'Anonimo del Muratori, gran parte rimanea.

Prendendo il viottolo a destra si trova giacente presso al fiume un pezzo di colonna non so come là sbalzato. Seguitando la stradella lungo la montagna si và in alto e basso finché scendesi in una vigna. Ivi si mira fondato sullo scoglio ed imminente al fiume un muraglione interrotto, che dovea servire, come tanti altri di cui rimangono le vestigia, a fermare l'impeto delle acque e a depurarle. Col gettare un ponticello di legno dall'una all'altra riva si potrebbe rendere agevole anche per le Viaggiatrici la passeggiata orribile che Noi descriviamo. Proseguendo il cammino sempre a destra, e mirando come s'interrompano nel monte e nel fiume i giuochi del sole e delle ombre, si ascende a vista di uno spettacolo raro e forse unico nel suo genere al mondo. In mezzo a due scogli la corrente in pendio si precipita romorosa in una grotticella, risospinta trabalza per le schegge della rupe, e si slancia dall'alto in un cumulo di spume. L'orrido monte Carpineto, nel quale noi siamo, continuamente ripete il muggito. Intorno alla Cascata si affolta una selva di arboscelli verdeggianti, mentre più sopra cinerina e rosseggiante la balza s'incaverna. Ma quale spettatore non rimane trasecolato al vedere presso una Macchia di lecci un immenso Edificio protetto da una torre, piantato sopr'archi gotici arrossiti dagli anni, e minacciato da spaventevoli scogli? Ei crede, esser giunto a pie' di vecchia Fortezza, asilo della prepotenza baronale. Se non che il simbolo della pace l'olivo, la Croce e le spesse squille de' sacri bronzi gl'indicano, non essere stata mai quell'abitazione tocca dallo spettro del Delitto che le mani di ceppi e di pugnali onuste abitava ne' Castelli; ma piuttosto l'Umanità da quello inseguita colà venne a rifuggirsi per formare il balsamo che ne' futuri secoli donò al Regno del suo Nemico. Egli riguarda la Culla di quell'Ordine Monastico, il quale diffuse nel Mondo ignorante e selvaggio la medicina della Dottrina e della Civiltà.

Monasteri di s. Scolastica e di s. Benedetto

Lasciato l'ingresso principale del Monastero di s. Scolastica dalla parte, ove la regolare facciata ornano due loggie simmetriche, un arco basso guida alla porta, in cui possono entrare ancora le donne. Alla fine del corridoio scendesi al vestibolo della Chiesa, ed in faccia vedesi dipinto s. Benedetto e s. Anatolia. Una iscrizione latina narra che questo Tempio fu nel 981 consecrato da Papa Benedetto VII; ma ciò non devesi intendere del presente il quale venne innalzato nel secolo passato, quasi del tutto distruggendo l'antico più grandioso e venerando per l'età e l'architettura .

La Chiesa moderna è di ordine ionico. I quadri degli altari sono i seguenti:

A sinistra:

  1. S. Vittorino M. con alcuni, santi dell'Ordine.
  2. S. Gregorio Magno.
  3. S. Andrea, del Calabrese. Bella testa!
  4. S. Anatolia convertente alla Fede s. Audace, del Concioli. Nella cassa dentro l'altare si veneran l'ossa di questi due Martiri.

 

Il cancello a sinistra mette a 4 Cappelle dell'antica Chiesa. Gli emblemi disegnati nelle pareti manifestano ch'era la prima dedicata a s. Benedetto, la seconda a s. Mauro, la terza a s. Placido, la quarta al santo Vescovo Turibio. Gli ornati saranno rifatti da esperti Artisti.

Nel mezzo della Chiesa una grande lapide annunzia la tomba del Card. Michelangelo Luchi Monaco Cassinese ed Abate Sublacense, dottissimo in lingua ebraica e greca. Morì di 58 anni nel 1802.

Superbo è il pavimento di marmo avanti l'Altare Maggiore. In una nicchia s. Benedetto scrive la Regola, nell'altra leggela s. Scolastica: ambedue le statue sono scolpite dal valente Dante. Entro l'Ara sono, riposte alcune reliquie di questi due santi. Ammirinsi gli egregi intagli del Coro.

Nella quarta Cappella a destra la Vergine coi santi Onorato Ab., Chelidonia V., Mauro Ab., Scolastica V., e i beati Lorenzo e Palombo, tutti dell'Ordine Benedettino, è del Gaetani. Nell'altare si conserva il Corpo di s. Chelidonia Protettrice di Subiaco, splendidamente vestita da Monaca in età avanzata. Dietro l'altare ed un cancello vedesi il busto del b. Palombo con iscrizione denotante che là giace il b. Palombo primo abitatore del Monastero Specuense per 26 anni. L'autore della iscrizione non so se abbia mai letto nella Cronaca del Mirzio il seguente racconto: «Ossa b. Palumbi Monachi translata in Basilicam s. Scholasticae, in altari ss. Ioannis Evangelistae ac Baptistae recondita fuerunt, ut tradit P. D: Gulielmus noster Narniensis, qui dictae secundae translationi interfuit. Demum dicta sanctorum ara demolita ob renovationem pavimenti ipsius Basilicae, b. Palumbi ossa in sarcophagum marmoreum retro altare D. Gregorii collata fuerunt, quae ego (Mirtius) in Minoribus constitutus ante annos triginta tres me inspexisse recolo: deinde, tue alibi demorante, inde ablata, et quo loci recondita fuerint a nemine percipere potui.

La Sagrestia fu eretta nel 1578. Il quadro dell'altare è della scuola del Maratta, e rappresenta Nostra Signora pregata da s. Clemente Papa e Martire. Gli affreschi delle pareti furon coloriti da Federico Zuccari. Esprimono i 4 Evangelisti; la Vergine annunziata dall'Arcangelo ed incoronata dal suo Figlio, un Cherubino che guida l'asinello su cui Ella posa il Bambino; l'Angelo intimante nel sogno a s. Giuseppe che fugga in Egitto, di cui le piramidi e gli obelischi mostragli in lontananza; e i 4 Dottori della Chiesa latina Gregorio, Ambrogio, Agostino, Girolamo. Nell'alto della parete a sinistra s. Elisabetta abbraccia la Vergine, mentre s. Giuseppe arriva con un fardello in un braccio ed il bastone nella sinistra, seguìto da una Contadina vestita secondo il costume subiacese del secolo XVI. Esce intanto di casa Zaccaria lieto incontro agli Ospiti. Nella parte opposta è dipinta la Presentazione al Tempio. Negli armadii oltre i ricchi ornamenti sacri conservasi il Cappuccio di s. Basilio Magno donato dai Monaci di Grottaferrata nell'occasione che qui vennero amorevolmente ricevuti nel fuggire dal proprio Monastero esposto alla invasione de' Normanni.

Il sotterraneo servì fino a questi ultimi anni di cimitero; ma l'odierno Abate D. Pietro Casaretto Presidente della Congregazione Cassinese amante degli antichi monumenti lo ha reso alla luce ed abbellito. Il soggetto delle vecchie pitture formano l'Annunziata della Madonna, la nascita di N. S., la fuga in Egitto, l'Orazione nell'orto, la Crocifissione; Enoch ed Elia alla discesa dell'Anticristo, gli Angeli malvagi scacciati dal Paradiso e l'apparizione di s. Michele Arcangelo sul monte Gargano. Nello sfondo dietro il nuovo muro apparisce la statua di s. Pietro, terzo Abate sublacense, lavoro del sullodato Dante. Un arco sostiene l'urna contenente. le ossa d'un venerabile Beda genovese dell'Ordine Benedettino. Nello scoglio di cardellino maestrevolmente lavorato dalla natura e dall'arte si è formata una grotta sacra all'Ab. s. Onorato. La statua del Santo non ancora compiuta collocherassi giacente in un incavo a destra. Finiti i lavori ed aggiunti alle finestre gotiche i vetri foscovermigli; ispirerà il luogo riverenza e silenzio, e recherà ai posteri il nome del Molto Reverendo, il quale a forza di elemosine di pietosi e dotti personaggi e col fruttato del proprio asse ripara il male fatto alle arti dal poco buon gusto di qualche suo predecessore, e cresce alla mia patria lustro e decoro.

I quadri delle altre Cappelle in Chiesa rappresentano 1. s. Girolamo, 2. l'Angelo Custode del Vàndica, 3. il Martirio de' ss. Cosma e Damiano.

Alla Cappella di s. Chelidonia entrasi a destra nella sala del Capitolo che si sta ornando e dipingendo nuovamente. Qui era la Chiesa del Monastero de' santi Cosma e Damiano fondato da s. Benedetto. Fu arsa nel 601 dai Longobardi cogli altri 11 Monasteri.

Ascendendo ai vasti corridoi cinti dalle celle Monastiche allettano il Viaggiatore istruito la Biblioteca e l'Archivio. In quella si conserva una copia della prima stampa fatta in Italia in questo stesso Monastero nel 1465, giorno penultimo di ottobre, dai tipografi tedeschi Conrado Suveynheym ed Arnoldo Pannarts. È il libro De Divinis Inslitutionibus di Lattanzio Firmiano. Vi fu anche stampato dai medesimi nel 1467 l'opera di s. Agostino De Civitate Dei: se ne conserva pure una copia. Nell'Archivio è grande il numero di preziosi manoscritti vergati quando le tenebre della ignoranza ingombravano il mondo. Tra questi sono due stimatissime Cronache sublacensi inedite, l'una del P. Guglielmo Capisacchi da Narni, terminata nel 1573, l'altra del P. Cherubino Mirzio che ha la data del 1629. L'ultima fu lodata molto dal Mabillon nel Viaggio Italico, e fu negata al Muratori che voleala pubblicare. Con siffatti aiuti potrebbesi formare una buona istoria di Subiaco, e si trarrebbero alla luce importanti notizie. Ma per giudicare delle vere o false scritture fa mestieri di somma critica. Ci rallegriamo con Monsignor Iannuccelli per avere impresa tale fatica e quasi al termine condotta.

Retrocedendo alla sala del Capitolo si passa nel Chiostro circondato da colonnette semplici e rattorte a somiglianza del Claustro di s. Paolo fuor delle mura di Roma. Vi sono scolpiti gli esametri: Cosmas et fili Lucas et Iacobus alter - Romani cives in marmoris arte periti - Hoc opus explerunt Abbatis tempore Landi, ossia nel 1235. Nel mezzo è la Cisterna di marmo. Prossima alla Sala Capitolare ammirisi l'affresco di s. Benedetto in abito monacale e barba candida. Col polso destro egli stringe al petto la Bibbia e con la mano un fascio di verghe; della sinistra poggia l'indice alla bocca chiusa, e dalla stessa mano esce un rotolo di carta, nella quale in carattere, gotico è scritto: Faciamus quod ait Propheta: Posui ori meo custodiam. Ed in alto si scorge il Profeta che verga le parole al medesimo rotolo di carta, ed anch'egli appoggia l'indice alla bocca. Non so se più maestrevolmente si possa insegnare il silenzio imposto ai Monaci dalla Regola. Girando a sinistra sull'altare di una Cappella è una Madonna antichissima dipinta al muro. La venerava con ispeciale culto il servo di Dio Ippolito Pugnetti da Piacenza dell'Ordine Cassinese, la cui salma stette rinchiusa per un secolo nella cassa di legno esposta in un angolo. Le molte pitture che decoravano il rimanente del Chiostro, fuori quella rappresentante la Vergine col Bambino, sono coperte dalla calce da cui presentemente cercasi nettarle.

Nell'ampio Refettorio è da osservarsi in un gran quadro s. Gregorio vedente assidersi un Angelo alla mensa de' poveri, viva e complicata opera del Manente.

A destra del marmoreo ed augusto ingresso del vecchio Tempio una iscrizione del 1053 scolpita per ordine dell'Abate sublacense Umberto numera diversi Castelli e due laghi allora soggetti al temporale dominio del Monastero. Quasi in faccia alla porta è incastrato nel muro un rozzo bassorilievo, in cui bevono al medesimo vaso un lupo ed un cervo colpito da un gallo col becco. Rudi caratteri la notizia riportano che questa Chiesa fu riedificata e consecrata da Papa Benedetto VII il giorno 4 decembre del 981. Il seggio marmoreo addossato al muro serviva agli Abati Claustrali baroni di Subiaco per assidervisi a giudicare in forma speditiva alcune liti de' soggetti.

Il Chiostro contiguo ed il superiore dormitorio sono famosi per le arcate a sesto acuto. Sott'una di quello abbellita da varie statuette siede la Vergine fra due leoni. Dove si riesce al corridoio una nicchia la statua contiene di Pio VI. Nel muro son dipinti s. Onorato e s. Romano non lungi dai ss. Mauro e Placido vicino a 4 ermi trovati nella Villa Neroniana. Dopo il ritratto di Giacomo III re della Gran Brettagna nei pilastri furon dipinti dal Manente i Papi Pio II, Urbano VI, Alessandro IV, Gregorio IX, Innocenzo III, Pasquale II, Leone IX, Benedetto VII, Giovanni XII, Leone IV, Gregorio Magno e l'Imperatore Ottone III con l'Imperatrice Agnese. Tutti questi personaggi è certo che visitarono il Monastero, soltanto si dubita di s. Gregorio il Grande, benché siavi la tradizione che nel 596 vi consecrasse la Chiesa eretta nel sito della Sala Capitolare dall'Abate s. Onorato in onore de' ss. Benedetto e Scolastica.

Allo stradone che serpeggia il monte, si fa incontro una Chiesuola o piuttosto due Chiesuole sotto il medesimo tetto. È osservabile nella prima in un affresco l'incontro de' ss. Benedetto e Romano in questo punto medesimo. La tradizione vuole, il giovane Patriarca le secolari vesti deponesse sopra la colonnetta inerente al muro, e fosse vestito da s. Romano dell'abito monastico di s. Basilio. Nell'altra edicola girano sedili di muro, la sorreggono due arcate, il pavimento e la scalèa per montar all'altare sono sparsi di marmi spezzati. Tra i molti affreschi si è degno di rimarco quello nel quale i Re Magi col loro seguito presentano incenso, oro e mirra al neonato Bambino. Con quale entusiasmo ed amore s. Giuseppe in ginocchio un pie' stringe dell'Infante, e ne bacia l'altro! Delle pitture rimanenti sono le migliori 1. il Divin Fanciullo che risponde o piuttosto insegna ai Dottori meravigliati nell'istante ch'è per essere ritrovato dalla Madre e da Giuseppe, 2. Nostro Signore alle porte di Gerusalemme insegna la sofferenza ai Crociati; 3. santa Scolastica e s. Benedetto con un fascio di verghe, ed il motto: «percute Filium tuum virga»; 4. le sante Scolastica e Chelidonia. Il grande numero delle Croci ritratte in tutta la Cappella ha dato a questa il nome di s. Crocella.

Fu aperta nel 1688 la strada che da questo luogo ascende al Sacro Speco. Il vicino bosco dell'elci tenacemente profonda le radici ne' crepacci della rupe in cerca di alimenti: e siccome il declivio siegue dello scoglio, ha indotta nel volgo la credenza che s'inginocchiassero al passaggio del Patriarca di Occidente. Per la scalèa si gode la veduta di due lunghe fila di montagne precipitose divise a fatica dall'Aniene, poiché lanciando spesso macigni nel fiume, sembra che vogliano rannodarsi col subissare la corrente. Da lungi sopra una spianata è Ienne signoreggiato da una torre. Nell'arido Giardino a sinistra della scala è una base votiva al Dio Silvano trovata nel Monastero di san Giovan dell'Acqua; onde ne parleremo nel sito dello scavo. Più all'oriente si apre la veduta di Subiaco e de' suoi contorni. Il torrioncello sul Monastero pare in distanza inerpicarsi per la scogliera. Si crede eretto quando all'appressarsi dell'esercito di Paolo IV si mise il popolo con le sue robe in salvo su questa montagna. Giunse il nemico e saccheggiò il deserto Castello, ma trovando assai magra la preda, si diede ad assaltare i fuggiaschi. Una grandine di moschettate e di sassi, lo fe' retrocedere sino all'Agro Romano.

Dove presentemente sta l'ingresso era il ponte levatoio. Su la porta fu nel 1660 dipinto s. Benedetto scrivente la Regola ispirato da un Angelo. Fra le pitture del Corridoio primeggiano i 4 Evangelisti intorno al Redentore. Con le parole peccasse pudeat corrigi non pigeat, una lapide accenna che si sta per calcare il Santuario. Si affretta l'artista a giungere alla meta de' suoi voti, a mirare cioè i tanto celebri affreschi, i quali spinsero il genio italico a togliere dalla servile imitazione de' Greci la pittura. Nel dare un minuto ragguaglio di tutti i dipinti, lasciamo in arbitrio de' Lettori il riflettere alle fatiche sofferte per compierlo in pochi giorni dell'estate, ignorando un libro che servir potesse di guida.

Primo Tempio

Un gusto depravato ha eretto su la porta il Coro. A sinistra prorompe dalle pareti un Ambone di marmo con due linee di rosoni: sopr'esso un'Aquila regge sul dorso e su l'ali aperte il libro degli Evangeli. Sull'arco di fronte la Crocifissione di N. S. con un mondo di gente a piedi e a cavallo merita lo studio del pittore.

Giro a destra:

  1. L'ingresso trionfale del Redentore in Gerusalemme.
  2. L'Angelo in veste candida siede sul sepolcro di Gesù Cristo, e ne rovescia la pietra alla presenza delle tre Marie.
  3. Gli Apostoli nel Cenacolo.
  4. Gesù Cristo apparisce nell'orto a santa Maria Maddalena con un vessillo in mano. Proibisce alla genuflessa Penitente di accostarsi.
  5. L'Ascensione.
  6. Monaco tentato dal Diavolo in forma di nero fanciullo, e guarito dai soliti divagamenti da s. Benedetto a colpi di verga.
  7. Il Santo medesimo che spezza con un segno di croce il nappo avvelenato pôrtogli dai Monaci di Vicovaro.

 

Giro a sinistra:

  1. Gesù Cristo con le turbe nel deserto.
  2. La Flagellazione.
  3. La caduta sotto la Croce.
  4. Discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo.
  5. S. Benedetto nella Grotta scrive la Regola. Gli sta di costa un tetrastico sì concepito: «Hic mons est pinguis, multis claruit signis, - A Domino missus sanctus fuit Benedictus, - Mansit in cripta, fuit hic nova Regula scripta, - Quisquis amas Christum talem sortire Magistrum».
  6. S. Benedetto si vòltola nelle spine per ismorzar l'ardore della concupiscenza.
  7. S. Benedetto fa scaturire l'acqua presso il Monastero di. s. Giovanni.
  8. Il medesimo riceve il giorno di Pasqua la visita del Curato di monte Preclaro.

 

Dentro l'unico altare composto di fini marmi con fregi di verde antico riposano le ossa di s. Anatolia. Sull'altare è un prezioso dipinto in legno del Pinturicchio. Rappresenta la Vergine col Figlio in braccio, s. Giovanni Evangelista, s. Giovanni Battista ed il Profeta Isaia.

Sull'arco estremo son ritratti i genitori di s. Benedetto Probo e s. Abbondanza. Più a basso lo stemma del Patriarca formato da un leone rampante e da una colonna. I marmi del pavimento nel mezzo formano una stella.

Danno due ingressi nel secondo Tempio che noi per maggior comodità osserveremo al ritorno dal

Terzo Tempio

A destra:

  1. Sotto la scala Papa Innocenzo III regge con la sinistra un Diploma sorretto pur con la sinistra dall'Abate Sublacense, allora Priore di questo Monastero, Giovanni VI ch'egli accenna con la destra.
  2. Nella rotonda nicchia dell'altare seguente santa Caterina V. e M., s. Vittoria V. e M., s. Erasmo Vescovo e M., s. Audace M., e s. Anatolia V. e M.
  3. Passato lo scoglio due immagini di Giob, una che lo rappresenta in prosperità, l'altra nudo e ricoperto di scabbia. Il lavoro è di Stamatico Greco (1489).

 

Nella Cappella di s. Gregorio Magno a destra è la più antica immagine di s. Francesco sventuratamente assai danneggiata. Intorno alla testa ha scritto: Fr - Frâciscv. Nel quadro il s. Gregorio fu colorito dal P. Sebastiano Conca Minore Riformato e nipote del celebre Cavaliere (1772). Oltre varie figure di Angeli, ai quali prima la Cappella era dedicata, ve n'è una rappresentante la Consecrazione di questa Cappella fatta dal Pontefice Gregorio IX nell'anno apportatore di peste e terremoto all'Italia (1228).

Usciti dalla Cappella proseguiamo il giro:

  1. Gesù legato e soffrente le ingiurie degli Ebrei.
  2. S. Simeone Monaco di Armenia.
  3. Giudizio Universale.
  4. S. Girolamo Penitente.
  5. S. Anatolia.
  6. Pittura in tavola de' laghi sublacensi can la Grotta di s. Benedetto.
  7. Il più antico ritratto di s. Chelidonia.
  8. Sotto un archetto con ringhiera le sante Anatolia e Scolastica.
  9. Il Curato di Monte Preclaro porta nel giorno di Pasqua per volere divino il pranzo a s. Benedetto meditante nello Speco, s. Romano con una funicella, a cui è attaccato un campanello, cala il cibo consueto.

 

Nella volta intorno all'Agnello stanno i 4 Evangelisti. S. Giovanni è figurato con testa aquilina, e s. Luca con quella di bue70.

A sinistra:

  1. Nella nicchia è dipinta la Vergine col Figlio e due Angeli oranti ai lati. Vi sta scritto in caratteri gotici: Magister Conxolvs71 Pinxit Hoc Opus. Sull'altare il busto in legno dorato rappresenta s. Cheridona ossia Chelidonia.
  2. S. Benedetto giovinetto presso Alite risana il rotto Capistero benedicendolo, e lo restituisce alla Nutrice.
  3. L'uccello sopra il monte presso a s. Stefano indica lo stemma dell'Abate Giovanni VI.
  4. Morte di s. Benedetto.
  5. S. Benedetto trae miracolosamente dal lago il manico della falce caduto in esso ad un Monaco Goto.
  6. Il medesimo nella grotta comanda a s. Mauro di raccogliere s. Placido sommerso nel lago.
  7. Nitidia sorella di s. Chelidonia.
  8. S. Benedetto in compagnia de' santi Mauro e Placido riceve la focaccia avvelenata mandatagli per mezzo di una donna da Florenzio Curato della Corte di Sublaco.
  9. S. Onorato Abate a lato di una finestra gotica.
  10. Un corvo al cenno di s. Benedetto che sta nella grotta coi santi Mauro e Placido, si getta ad artigliare la focaccia, e la porta in bocca nel deserto.
  11. S. Scolastica.

 

Le gigantesche figure72 della volta son disposte a due cerchi. Nel primo circondano s. Benedetto, san Placido, Pietro Diacono, e i ss. Romano, Gregorio, Mauro, Lorenzo, Onorato, Silvestro. Nel secondo framezzati da 4 Angeli gli Apostoli Paolo, Andrea, Pietro e Giovanni attorniano il Salvatore che ha l'Evangelo aperto alle parole: Ego svm veritas.

Al fianco dell'ingresso allo Speco sta dipinto san Gregorio I assiso in trono e concedente, l'anno 596, all'Abate s. Onorato il diploma, nel quale conferma al Monastero di s. Scolastica Subiaco, il sagro Speco, il. Lago con le mole e le peschiere sino all'Arco di Ferrata, la città Tusculana, Gallicano, Donabello, Lago Fogliano con la torre, s. Maria in Sorrisco sino al mare ed altri molti Castelli. Dona poi con il consenso di sua madre s. Silvia il Castello Apollonio con molti latifondi: La grande iscrizione marmorea in latino è la concession di Clemente XI della Indulgenza Plenaria una volta l'anno, estesa da Pio VII ad ogni mese per chi visita il sacro Speco. Nel pavimento una lapide indica il sepolcro di Monsignor Niccola Maria Tedeschi di Catania Vescovo di Lipari ed Arcivescovo di Apamea. Di somma lode egli è degno, perchè eresse i due dormitorii nuovi che biancheggiano sulle vecchie officine. Morto in Roma nel 1741, qua il suo cadavere fe' trasportare, lasciato erede universale il Monastero.

L'iscrizione apposta all'arco della Grotta fu presa dai Dialoghi di s. Gregorio. Rammenta la triennale dimora fattavi da Benedetto non saputo da alcuno, ed i miracoli che spesso vi accadono allorchè de' preganti la fede lo esige. Per la volta indorata gli Angeli portano le insegne abaziali. L'altare di marmo, sorretto da due graziosi putti, precede la bella statua del Patriarca in età giovanile con le mani cancellate sul petto e dolcemente guardante la Croce. È di Antonio Raggi discepolo del Bernini. Rompono l'oscurità dell'incavato scoglio le chete fiammelle di 5 lampade. Sentesi nell'animo stemperare una ignota dolcezza chi ad orare si pone in questo Speco, il suo spirito ringiovanisce ne' più sublimi pensieri che degni soltanto sarebbero di occuparlo, obblia della vita le moleste cure a guisa del naufrago il quale per fortuna avendo toccata la riva, dimentica le sofferte fatiche, non sente il muggito del vicino mare, e nella mente rivolge la sua Patria e i suoi più cari amici.

L'arco della ultima scalea porta in fronte l'Agnello annunziato da 2 Profeti. Scendendo si vede a destra il Trionfo della Morte. Su focoso destriero che dati i crini al vento calpesta i cadaveri, ella ferisce con la spada un giovane che parla con un altro. Alcuni vecchi da lei negletti la stanno pregando. Funesta verità! Di rimpetto son figurate tre casse. Nella prima giace una donzella testè defunta; il cadavere nella seconda imputridisce; nell'ultima è scheletro. Un vecchio le addita a tre nobili giovani aventi falchi nelle mani. Per la volta si aggirano i ss. Francesco, Bernardo, Domenico e Leone. Sull'arco di fronte Gesù Cristo in atto di venir battezzato da s. Giovanni. Due Angeli biancovestiti assistono. Sotto l'arco s. Onofrio e s. Giovan Battista. Vivissima è la strage degl'Innocenti, com'è curiosa la maniera, con la quale sono stati ritratti li ss. Stefano e Lorenzo. Al primo han penetrato il cerchio della testa i sassi; posa l'altro i piedi su la graticola.

Entro la Cappella del b. Lorenzo si ammira:

  1. Il Transito della Vergine circondata dagli Apostoli. Espressivi sono gli atteggiamenti de' Discepoli che già entrarono o si sforzano di entrare nella funebre stanza.
  2. Visita dei Re Magi.
  3. Presepio.

 

Nella nicchia dell'altare stringe Nostra Signora un giglio. S. Benedetto incontro ai ss. Placido e Mauro. Nella volta la Vergine accoglie i devoti entro il suo manto. Da un lato i monaci, dall' altro le monache sorgono dalle tombe. Siegue l'Annunziata, la Presentazione al Tempio, e l'Incoronazione. La marmorea cassa dentro l'altare racchiude fossa del b. Lorenzo da Fanello Pugliese. Visitando la sua Grotta ammireremo le penitenze di quell'Eroe. Nell'uscire dalla Cappella a sinistra il ritratto di s. Gregorio porta in caratteri neri l'anno 1489. Sotto la croce superiore in caratteri bianchi sta il nome di Stamatico Greco76.

Scendesi quindi nell'Oratorio dedicato da s. Benedetto a s. Silvestro. Ivi Egli cresciuto in fama e in devozione delle genti ammaestrava i pastori e i discepoli nella fede. Riconoscesi qualche rimasuglio di pitture negli stucchi della Grotta. Si passa al cimitero de' monaci ascoso dietro un muro di bei cardellini. Infine si riesce al giardino, dove Benedetto a scacciare la impura tentazione dipinta nella parete si voltolò nelle spine. S. Francesco qua venuto nel 1223 versò lo spinajo in roseto innestandolo. Alle foglie di queste rose grandi guarigioni ha operate il Signore in chi pieno di fede le trangugiò polverizzate. Tornisi al

Secondo Tempio

Osserviamo l'altare di opera alessandrina, su cui posano due colonne spirali. Vi è ritratta la Vergine in monacale veste in mezzo ai ss. Antonio Abate ed Onofrio. Seguitano 4 Cappelle con are di fini marmi. Nella terza sta dipinta la morte di s. Scolastica è di s. Mauro, e nell'ultima il martirio di s. Paolo. Sotto l'arco del cancello cena Benedetto con la sorella Scolastica; Onofrio communicato dall'Angiolo; il volto del Redentore; e Benedetto che vede l'anima dal s. Vescovo Germano in forma di colomba dentro una sfera ignea rapito dagli Angeli in cielo. Quindi sopra un coretto è ritratto il martirio di Placido, Flavia e Vittorino alla presenza del tiranno Marruca in Messina. Appresso un zoppo è sanato da Pietro e Giovanni Apostoli. Il piccolo ed elegante sarcofago ora contenente l'acqua santa e posto sopra bellissima colonnetta fu scavato anni addietro vicino al ponte di Mauro. Vi sono intagliati uccelli ed altri animali, fra quali si distinguono due aquile ad ale aperte. Nel mezzo stavano tre linee di scrittura: ma si può leggere soltanto D. M. nella prima, e nella quarta Vix Ann. XI. Da ciò si apprende. ch'era il sepolcro di un fanciullo di 11 anni.

Sagrestia

Meritamente si encomiano il s. Sebastiano al naturale del Cav. Conca; il Paradiso, quadretto in rame del b. Angelo da Fiesole Domenicano; le teste degli Apostoli Pietro e Paolo di Gian Bellini, maestro del Tiziano; s. Caterina che sposa il Bambin Gesù, del Domenichino; la sagra Famiglia, de' Caracci. L'affresco77 di Cristo deposto dalla Croce in seno alla Madre su cui tutto si abbandona, riscuote molte lodi. Nel Tesoro, ora non più Tesoro dopo che fu predato dai Francesi; conservansi, alcuni oggetti di devozione, come le maglie e lastre di ferro con le quali orribilmente cruciavasi il b. Lorenzo, una gigantesca misura di s. Benedetto, il Campanello che dicesi fosse quello spezzato al Santo dal Demonio, un Crocifissetto di argento misto al rame voluto di s. Benedetto stesso con 4 immagini a smalto, e diverse reliquie.

Monastero

Nell'appartamento dell'Abate Commendatario sono i seguenti quadri:

  1. S. Pietro in atto di pentirsi;
  2. S. Giuda con la scure. Ambedue stimati del Caravaggio.
  3. Volto del Redentore in lavagna, di Carlo Dolce.
  4. Volto della Madonna a lume di notte, del medesimo.

 

Non è copiosa né scelta la Biblioteca. L'Epistole di s. Girolamo stampate in Venezia da Giovanni Rosso Vercellese nel 1496, sono stimabili per l'età nella quale si pubblicarono. La copertura di legno con sopravi la pelle di majale rende il libro conservatissimo.

L'Archivio è rilevante pei Ms. In esso vi dovea essere la descrizione di tutte le pitture antiche della Chiesa, del Capitolo, e vecchio Refettorio composta dai PP. Beccari e Bellentani nel 1544. Se non fosse stata rubata o perduta, mi avrebbe tolta la fatica di riprincipiarla. Vi è il Chronicon Sublacense del P. Mirzio exemplatum a Fr. Mauro de Valentano Anno MDCCXLII. pro Sacra Specu, con note dell' Irlandese Monaco P. Giuseppe Macarty. La Valle Sacra Poema di Giov. Camillo Contestabile Subiacese, che in ottava rima descrive le gesta di s. Benedetto nelle Contrade Sublacensi, pel secolo XVII, in che fu scritto, è molto da stimarsi. Delle note tranne qualche notizia non è da farne caso alcuno.

Gli affreschi del Refettorio sono:

  1. Cena di N. S. con gli Apostoli,
  2. La Crocifssione alla presenza della Vergine e de' ss. Giovanni Evangelista, Benedetto ( ammirisi il lavoro del pastorale ), Giov. Battista, Leone PP., Scolastica, Gregorio I ed Agostino.

 

Assai mi piace un s. Benedetto che siede e tempera la penna adocchiandone vicinissimo il taglio.

Non ostante le tenebre, in cui versa la topografia de' 12 Monasteri da s. Benedetto fondati, io non dubito inserire in questo numero il s. Speco, perché tutt'i vecchi Cronisti interpreti della Monastica Tradizione quale capo de' Cenobii Occidentali sempre lo riconobbero79, e di tale qualifica istruirono diversi Sommi Pontefici, com'evidente sembra a chi ne legge le Bolle con l'avvertimento però che a tale Monastero fino al secolo XII rimase l'aggiunto Sublacus, ne' tempi antichi comune a tutte le vicinanze del simbruino lago. Non si creda però la forma di quel Monastero, come anche degli altri 11, simile ai moderni, giacché in lungo celle angustissime lo componeano, e tre grotte, una delle quali era l'Oratorio, dedicato, come dicemmo, a s. Silvestro, l'altra, imminente alla Cisterna, conserva tuttora traccie di muro e delle scale nel monte spezzate onde scendere alla terza cioè al s. Speco. Andati molti de' 144 Monaci ad accompagnare il Padre loro a Monte Cassino e a popolar i Conventi che in molte parti d'Europa quasi per incanto s'aprivano, si fa manifesto come i 12 Monasteri Simbruini s'impoverissero di abitanti dopo la partenza del Patriarca, e si riunissero in un solo, cioè in quello de' ss. Cosma e Damiano. Non intendo con ciò affermare che nessun Monaco rimanesse gli altri 11 a custodire, ma solamente che non vi è certa memoria per giudicare ciascuno da 12 Anacoreti popolato fino alla venuta de' Longobardi che gli edilizi distrussero nel 601, costringendo i Monaci a fuggire in Roma. Tornati questi al Monasterio de' ss. Cosma e Damiano, poca o nessuna cura del nostro si presero, soltanto dal 1090 al 1115 vi alloggiò il b. Palombo. Finalmente Umberto soccorso da PP. Leone IX incominciò a gettare i fondamenti dell'odierno Monastero compiuto dal seguente Abate Giovanni V.

Visita a sei de' dodici Monasteri di s. Benedetto.

Nella Piazza del Campo si schiude la strada Nuova carrozzabile e tendente alla Provincia di Frosinone. Circa 200 passi dalla Città comincia a lambire siti pittoreschi. Sotto una punta piramidale della montagna uno scoglio rovesciato e supino direbbesi là trasportato negl'intervalli di furore dalle versiere aiutate dai loro diabolici Mariti. Quindi si lasciano a d. alcune fabbriche della Villa Neroniana fornite d'acqua dal condotto, già da noi osservato, dell'Aniene Nuovo. A sin. un'infinità di piante erratiche e penziglianti, altre secche, altre verdi, si getta sull'apertura d'una caverna. Grossi lecci torcendosi pendeano sullo scoglio, ma pochi mesi fa la scure ne troncò pel fuoco la maggior parte. Tanto questa Grotta come l'altra più angusta che si apre nello stesso masso, presero la denominazione dagli Zingari che vi passavano le Notti. Nel prossimo oliveto pittorica è l'iconetta della Madonna delle Febbri. Due lanterne le pendono innanzi, e tra le corone di aridi bussi i voti di chi guarì dal morbo definito dall'Arici: De' nervi offesi il tremito, e l'occulto - Vibrar che il sangue avvampa e i corpi abbatte.

Giunto alla Cava di falso gesso, il romore delle acque ti spinge la vista al precipizio a destra. Fra le chiome degli alberi svaporano gli spruzzi delle cascate. Spunta fra la verdura la Cartiera, l'Ospizio di s. Antonio e la grande facciata della Chiesa e del Seminario all'estremo della Città che dominata dalla Rocca si allunga e restringe.

Lasciato a destra il Ponte Gregoriano prendasi la via della Edicola rotonda. È sacra a s. Mauro, il quale precisamente in questo luogo trasse per miracolo del suo Maestro sano e salvo s. Placido caduto nel lago. Furono i due giovanetti affidati dai genitori Eutichio e Tertullo nobili Romani a s. Benedetto che li educava nel vicino Monastero di s. Clemente posto dove ora s'incontra l'umile Chiesuola del medesimo nome. Nel Campicello abbondante di romani edifici avea il Santo formato un orto, nel quale dal Ponte antico s'introdussero le sette sfacciate donne per insinuazione dell'empio curato Florenzio. Esse nude e lascive si diedero a danzare sperando sedurre la virtù de' giovani Monaci. A tanto ardire s. Benedetto partì verso Monte Cassino, e camminato alquanto, ricevette, tutto conturbato nell'animo, la notizia che un terremoto avea subissata la casa di Florenzio schiacciandolo sotto le ruine.

Le fabbriche sparse per tutto il colle sono avanzi delle Terme, dei Bagni, sostruzioni ed altri edifici della Villa Neroniana. Dice il Contestabile che nel 1551 vi fu trovata una statua marmorea di Pallade, della quale benché fossero le membra rotte in molti pezzi, la testa era intatta e bellissima. Francesco Colonna Abate Commendatario donolla a Giulio II. Non so dove si trovi presentemente. Il nome di Carceri dato a questa contrada ha fatto cercare la causa di tale denominazione. È tradizion viva ne' Subiacesi che ivi Nerone rinchiudesse gli Schiavi convertiti alla Religione Cristiana pria di martirizzarli. Combina questo racconto coll'ingegno crudele e sanguinario dell'Imperatore. Si potrebbe ancora dire che i numerosi schiavi usi a custodir la Villa, fossero la notte ristretti per timore di fuga dentro quegli edifizii, sapendosi che i Romani aveano ergastoli, entro i quali cacciavansi la sera gli schiavi senza distinzione di sessi.

La Chiesa del suddetto Monastero di s. Clemente ornavano colonne e marmi pertinenti alla Villa. Caduta però nel 1216 per un fiero terremoto, le colonne e i marmi passarono a s. Scolastica. La Chiesuola odierna fu rialzata da un devoto.

Nel ripiano della via superiore s'incontra un'altra Chiesuola. È bislunga attorniata da sedili. Siccome per l'umidità si scrostano e svaniscono le pitture di cui abbonda, pertinenti al secolo XV, ho pensato di stenderne il catalogo. Ai lati della porta stan s. Francesco e s. Gregorio PP. : nella volta il Redentore benedicente con l'Evangelio aperto in mano, non che Maria con l'Infante in braccio. Questa ultima immagine avendo fregi d'oro, diede il nome di Madonna dell'Oro alla Chiesa.

A destra:

  1. S. Benedetto e s. Scolastica.
  2. S. Placido M.
  3. S. Benedetto dispensa la Regola ai discepoli.
  4. S. Mauro Ab.

 

Nella nicchia in fondo sul piccolo altare N.S. Crocifisso tra due Angeli, e intorno alla Croce la Vergine, e Maria Maddalena, s. Benedetto e s. Scolastica.

A sinistra:

  1. S. Sebastiano saettato.
  2. Di quà e di là alla Cattedra di s. Benedetto s. Placido liberato da s. Mauro delle acque e s. Benedetto che risana il falcastro del Monaco Goto.
  3. S. Lorenzo con la graticola ai piedi e s. Stefano con un sasso in mano. I bastoni a forma di vincastro posti nelle mani ad alcuni di questi Santi sono emblema del loro ministero e del pellegrinaggio dell'uomo sulla terra.

 

Abbandonato a destra il principale ingresso di s. Scolastica, si entri nella Clausura in faccia; sieguasi un viottolo fino al montuoso seno sopra il Ponte Rapone, e dopo non molto si penetra un querceto. Costeggiata una valle, messa per solito a grano, si affaccia in ridente prato la Grancia di s. Scolastica chiamata di s. Donato dalla Chiesuola prossima. Le montagne che a manca elevansi pria di folti boschi vestite, poi rare di alberi ed aspre, a destra s'inabissano. È opinione di molti che qui sorgesse un altro de' 12 Monasteri, ed io atteso il locale solitario e proprio alla contemplazione, non esito punto ad abbracciarla. Perché chiamavasi anticamente la contrada Equi, i Geografi vi pongono un refugio o un Oppido di quel Popolo che non solo inventò il dritto Feciale, ma ancora indurato alle nevi, ai ghiacci, alle acque, ai venti, non credeva, fossevi al mondo nazione di lui più terribile. Si propose di conquistar tuttociò che dalle più sublimi alture al guardo gli si mostrava, incitata dalla poca fertilità, e ristrettezza del territorio e forse anche riflettendo che dalla pianura scacciò i loro antenati straniero esercito. Per fornire sì difficile impresa appena venivano i figliuoli a luce, la prima cosa che a questi feria lo sguardo, era la spada, e primo suono all'orecchio perveniva dello scudo toccato dall'asta il fragore. Perciò non fa meraviglia se compagne indivisibili loro furono le armi pur ne' campestri lavori, pur nelle civili adunanze. Avversi furono gli Equicoli ai Romani, li sconfissero, talvolta, e se della preda non li avesse invasi la cupidigia, forse avrebbero arso il Tarpeo e raso dalla terra il nome romano. Ma la fortuna, arbitra delle guerre, volle il contrario. Furono perciò gli Equi vinti ed in 50 giorni viddero dolenti 41 Castelli rovesciati al suolo. Dopo sì luttuose vicende non più si riebbe la loro potenza, che anzi nel Lazio vennero compresi. Il solo nome rimase a questa prateria, dove probabilmente eressero un borgo dopo che la pianura, ov'è Subiaco, si confiscò a favore delle potenti famiglie di Roma.

Di costa al fontanile un calle scende ad una stretta vallata, poi monta alla selva dell'opposta montagna, e fa capo all'altro de' 12 Monasteri; anzi a tutti anteriore, perché esisteva quando venne s. Benedetto allo Speco ed era il Monastero dove s. Romano vivea sotto l'Abate Adeodato. È dedicata la Chiesa a san Biagio: le aderisce un Eremitorio.

Al disotto una via sassosa conduce all'altro de' 12 Monasteri detto di s. Maria Primerane, poi di Morrabotte forse per la grossa forma della scogliera che pare tagliata a picco. Distrutto dai Longobardi per circa 610 anni rimase desolato. Ma nel 1209 vi si recò il b. Lorenzo da Fanello e vi morì nel 1243. Avendo egli ucciso un uomo, fu preso da tal dolore, che si mise in cuore subire le più rigide penitenze. Noi ammiratori di Scevola che arse la fallace destra nel fuoco, dobbiamo vie più ammirare quest'Eremita. Nel Venerdì Santo infuocava una lastra di ferro e con inaudito coraggio la fissava alla testa. Digiunava quotidianamente, e memore delle militari vesti trasandate indossò sopra una rete di corde nodose una corazza di ferro armata di punte; avea stretto le gambe, le cosce, il collo, il ventre, le braccia e 'l dorso da cerchie catene di ferro. Una pesante corona di ferro gli martirizzava a guisa d'elmo il capo: anzi gli percuotevano e ferian le mascelle con dieci ben aguzzi chiodi due piastre. Così egli si addormentava in piedi, appoggiato all'angusta Grotta, dov'è stata eretta la Chiesa, ma per pochi istanti, svegliato dalle punture e trafitture de' crudeli arnesi. Qualunque Viaggiatore, è costretto ad ammirare la costanza e fortezza di quell'Eroe Abruzzese che per tanti anni si tormentò in tal cruda maniera. Il Pontefice Gregorio XVI nel 1834 dal s. Speco venne a piedi sino a questa Chiesa, viaggio faticosissimo per un veglio.

Il viottolo che ascende vers'oriente, riesce ad un piccolo Eremitaggio sotto vasta foresta. La Chiesuola insegna il luogo, chiamato anticamente Campo d'Arco, ove fu il Monastero fabbricato da s. Benedetto in onore di s. Giovanni Battista. Limpido zampilla da un macigno il ruscello sgorgato alle preghiere del Patriarca e necessario ai 3 Monasteri prossimi che sì pei rurali lavori, come per dissetarsi doveano calare i pericolosi greppi del monte fino giù al lago: indi arrampicarsi ai fianchi del profondo burrone.

La solitudine della contrada, e le macchie annose che l'aspetto ascondono del Cielo con la densità dei rami, facevano ai romani schiavi fede, esser qui presente il Capo de' silvestri Numi. Imperciocché molti anni sono fu trovata nelle vicinanze la colonnetta votiva al Dio Silvano, esistente al Giardino del sacro Speco con la seguente iscrizione in rossi caratteri sino ad ora inedita:

SILVANO . VO. TVM . EXVISOOB . LIBERTATEMSEX. ATTIVS . DIONYSI VS . SIG. CVMBASE . D. P.

 

II signum o statuetta di cui sulla base è indizio, se non fu spezzato dal fervore de' primi fedeli, andò per mano di s. Benedetto incontro alla sorte che alcuni anni appresso toccò all'Apollo Casinate.

Ritornando indietro si vede apparire sopra un bosco ceduo il Monastero di s. Girolamo. Allo scorgere la balza su cui posa, e i muraglioni rugginosi ed iscabri, facilmente si crede, sia stata una fortezza. È la fabbrica dopo otto secoli di abbandono rialzata dal Vescovo di Orvieto Pietro Boverio nel 1387. Benché questo Prelato vi spendesse quattromila fiorini d'oro, per mancanza di mezzi non la trasse a compimento. Una situazione più analoga alla vita dell'anacoreta non si può trovare. Al settentrione selve enormi rallegrano la vista co' verdi e rossi colori nell'abisso al mezzogiorno, dove ondeggiava il lago, romoreggia il fiume precipitoso crollator di sassi, come descrisselo Fantoni.

Dalla visita fatta a questi Monasteri si conosce qual vita menassero i 144 Religiosi che in tutti dodici abitavano. Sempre raccolti, umili ed obbedienti lavoravano la terra esposti alle intemperie dell'aria. Quando affaticati e grondanti sudore, rimproveravano tacitamente le proprie forze di non bastare ad ulteriori travagli, i1 suono lugubre d'una campana, interprete formidabile del tempo, loro ricordava con raccapriccio ch'eran fuggite l'ore del lavoro, e che vie più il momento estremo s'appressava. Si avviavano meditabondi all'Oratorio, e nel vestibolo leggevano sopra la tomba d'un Superiore l'epigrafe gotica che gl'incoraggiava a passare senza rimorso dal silenzio del chiostro a quello del sepolcro. Allora, gli occhi rivolti al cielo, secretamente esclamavano: Chi di colomba ci darà le penne per volare alla quiete sempiterna? Dopo recitati molti salmi a lunghe pause e cadenze, andavano a prendere scarso cibo e pochissimo vino. Si rinchiudeano poi in angustissime celle, e là tutti vestiti e calzati, si stendeano su le stoie, chiudendo a malincuore le pupille al sonno. A mezza notte ritornavano al Tempio per cantare le lodi del Creatore, imitatori de' rosignuoli e degli altri augelli che a quell'ora accoccolati sui rami degli alberi soavemente gorgheggiavano.

SANCTO

La Montagna.

Nelle fresche mattine di estate il contadino sferza a sè dinanzi il somiero, e cantando si avvia ai monti che giganti sorgono al norte di Subiaco. Se gli si dimanda: dove vai? Egli franco risponde: Alla montagna. La risposta eccita il forestiero a visitare quei luoghi, di cui il villano parla tanto enfaticamente, e della visita rimane contento oltre ogni aspettativa. Per andarvi partesi dalla Madonna della Croce, e per una strada di recente acconciata si cominciano a salire varie giravolte, dalle quali tutte le colline sublacensi veggonsi fiorenti ed unite come un piano. Alla Rivolta Grande si entra in una vasta prateria, ed a sinistra lasciansi balze ripidissime appellate Morra Polina. Ivi spalancasi la grotta, nella quale apparve la Regina del cielo con tre Matrone ad un bifolco, raggiando intorno vivi sprazzi di lume. Si trapassa quindi una casetta prossima alla Chiesuola ad uso de' pastori, e là invece di seguitare il cammino delle selve, alla direzione di un pozzo tra rari alberi a sinistra si può scendere ai ruderi dell'ampio Monastero di Vergini aderente alla grotta della santa Protettrice di Subiaco. L'Abate Simone fondollo nel 1158. Le due grandi arcate a sesto acuto che servono d'ingresso, le finestre oblunghe, e i massicci muraglioni diroccati, su cui lussureggiano i ciuffi di cento piante, danno alle ruine un aspetto imponente. Sulla cima della più alta montagna di questa parte scopresi la Campagna Romana sino al mare. Quando l'orizzonte è puro, com'è dolce osservar colassù i labirinti brillanti dei rigagnoli, e i lontani paesaggi che velati dal vapore sembrano fuggiaschi! Sotto questo Monte cento valloncelli e dolcissime chine sono coperte da foreste di altissimi faggi, cui si dà lo spazio di varii lustri a maturare ed intozzar le piante, assegnandosi ogni anno al popolo il tratto da recidersi. O come è grato di avvilupparsi per quelle boscaglie in cerca di sempre nuove prospettive, alle quali dona il contadino nomi esprimenti qualche caso occorsovi o la natura del suolo! Qua gli alberi stramazzati per terra ti ricordano i due versi di G. B. Rousseau: Arbres dépouillés de verdure, - Malhereux cadavres des bois! Là mentre abbeverasi lucente ed allegro il gregge ai perenni pozzi scavati in diversi punti, la più fervida passione umana qualmente nella profondità de' mari il nocchiero, così nella solitudine de' boschi tormenta il pastore, e sforzalo a cantar versi alla maniera di Garcilaso.

Nella macchia confinante col piano di Livata s'incontra il Campo dell'Ossa. Ivi nel 1528 si pugnò fortemente tra le squadre di Napoleone Orsini e Scipione Colonna Abate Commendatario. Dice il Cronista che i soldati non solo usaron schioppi, ma ancora lance, spade e scudi. Gli Orsiniani però dovettero darsi alla fuga. Nel medesimo luogo mio padre Francesco Gori a gran pericolo della vita inseguì 24 Briganti di Sonnino, e ne uccise uno assai famoso, Carcasone di soprannome.

Tenendosi pel viottolo sempre a dritta si riesce alla veduta della ridente vallata di Vallepietra, in fondo alla quale scorre un ramo dell'Aniene originato da queste pendici. La cima della montagna a sinistra chiamata l'Autore, è la più alta di tutte. Vi si mira nel più eccelso giogo al nascere e tramontar del sole il Lago di Fucino vestito a colore di fiamma ripercuoterlo d'ogni intorno come bocche di Vulcano. Tutta poi la china della stessa montagna infoscano densi faggeti sino a Campo Secco, il qual è una lunga prateria frastagliata da rupi. E più a levante su ruvido cinghione sdrucciolano le casette della Camerata a vista dell'amena distesa del Cavaliero.

La strada che sul pendio cammina della veduta di Vallepietra sbocca sotto alla scogliera nomata della SSma Trinità. Molti viaggiatori hanno confessato di non averne vista una più grandiosa e pittoresca. Se le Tre Divine Persone invece di essere dipinte nell'umile chiesuola lo fossero a figure gigantesche nel mezzo dello scoglio stesso che in alto avanzandosi le coprirebbe dall'intemperie delle stagioni, io vedrei il più sublime Tempio dell'universo. Più a basso da una rupe muscosa filano gocce d'acqua e spruzzano ed incavano il masso, sbattute sovente ed increspate dal vento. Le colombe a torme là vengono a bevere, ma udendo il minimo rumore arrostano all'aria. Non è molta che l'Emo ed lllmo Card. Lodovico de' Principi Altieri, Presidente di Roma e Comarca, percorse a cavallo le nostre montagne, deliziandosi nelle bellezze di natura. Al mirare questo gruppo di scogli rosseggianti non sapea spiccarsene di leggieri. L'uomo che alberga in quell'Eremitorio; quanto felice esser deve! Ad ogn'istante al suo sguardo si presenta l'occasione di contemplare con minori svagamenti la possanza della Triade, al cui servizio è addetto. Se l'Angelo della Notte seduto ne' deserti del cielo indossa azzurra veste fulgida di stelle, o aggira nella mano la luna; e se alzasi dall'Oceano il sole, e con passi giganti i 4 angoli del mondo perlustra; ambedue ciò fanno per ordine del Signore che vuole illuminata la terra. Manda l'Altissimo le nevi e 'l ghiaccio, semina la verdura, matura i frutti, incera le messi, e versa ne' campi l'incenso de' fiori. O come è terribile quando la collera qual fumo ascende al suo volto! Egli vola sulle penne degli aquiloni, ordina alla Morte e ad un Cherubino, che sopra un carro dovunque lo sieguono, di mietere le vite degli nomini, e rovesciare le intere città, getta con una mano la grandine, con l'altra dirotte piogge, e mille intorno al capo accenso - Rugghiano i tuoni, e strisciano i baleni (Monti). Il mese di giugno nella festa della SSma Trinità infinita moltitudine di gente viene da Regno e dai paesi vicini a cotesto Santuario. Vi conducono legati ed inferrati di funi e di catene gl'infelici, su quali il Demonio ha preso balìa. Quei furiosi guaiscono, urlano disperatamente, stralunano, danno strappi violentissimi, e bestemmie orribili profferiscono. Non ha molti anni che un tale non mai uso agli studii recitava imboccato da Satana tutto il secondo libro dell'Eneide. Ma generalmente allorché il Prete in nome della SSma Trinità intìma al maligno spirito di uscire dal corpo degli ossessi, il Diavolo rimane agghiadato per poco, indi prorompe fuori con impeto. Erra chi, ammirato l'Ossesso del Domenichino a Grottaferrata e l'altro di Raffaele alla Pinacoteca Vaticana, crede, non potersi vedere spiritati più spiritati (per così esprimermi) di quelli. I moti convulsi ogni momento diversi non solo non si possono ritrarre in carta, ma nemmeno in tela. Que' due Classici Italiani hanno aggiunti nel caso nostro i termini che forse nessun Genio trascorrerà; ma non potevano mettere in mostra con due pennellate tutta la serie de' crudeli patimenti.

Nel ricalcare la strada già percorsa, giunto ad una Croce un sentiero scende vers'oriente al Campo di Pietra. È a forma di sterminato anfiteatro, pietroso nel mezzo, ma cinto di alberi verdeggianti.

Siccome qui cadono i confini dello Stato Ecclesiastico e del Regno Napoletano, qui ancora termina il nostro viaggio montuoso. Il Pittore ed il Poeta facendo questa gita ne' dì sereni, crederanno di trovarsi nelle tanto amene contrade di Arcadia; ma non resteranno meno colpiti nelle tetre giornate. Non parlo di quelle, in cui si sfrenano le piogge, ma soltanto di quelle, nelle quali spinte dal vento le nebbie e le nuvole fuggono sulle vette più elevate. In mille forme allora si cangiano le rocce. Alcune volte le nubi attraversano le calve rupi a guisa di toga, e danno a queste l'aria de' Senatori che sulle curuli sedie intrepidi ed immobili aspettarono i Galli guidati da Brenno, altre volte s'intralciano talmente con li acuti scogli, che formano la reale figura dei Tritoni, delle Sfingi, e di altre divinità del Politeismo. Anzi se qui mi è lecito riportare la questione da che gli Egiziani traessero l'idea de' loro mostruosi Dei, io opino che i loro Sacerdoti la prendessero dagli scherzi delle nuvole intorno ai monti o in faccia al sole. Grande impressione queste sembianze lasciano nell'idiota e superstizioso, ond'era massima degli antichi Caledonii che le ombre de' guerrieri dopo morte si aggiravano per aria vestite di nubi.

Il Cacciatore finalmente potrà contentare per le nostre montagne il desiderio di far prede; ché oltre cento ragioni d'uccelli, si può abbattere talvolta a qualche cervo e cinghiale.

Con tali occupazioni chi non dimentica le mordaci cure, che volano intorno alla vita?

Viaggio da Subiaco a Trevi.

Onde fare l'enunciato cammino prendere si possono due vie.

La prima è per ora carrozzabile sino all'undicesimo miglio. Chiamasi volgarmente Strada Nuova, ma io l'appellerei degli Ernici, perché fra breve condurrà a quel popolo. Usciti fuori della forata montagna, si giunge a vista del Casino di Monsignor Lucidi che da un'aprica altura grandissimo tratto domina di territorio. Poc'oltre il Casino dell'Arcivescovo Antonucci si eleva di costa a Monte Acquaviva l'Afilano. Nel presiedere allo scavo delle pietre in questa montagna, l'Ingegnere Bisutti ebbe la fortuna di rinvenire alcune conchiglie fossili di strane forme. Alla rivolta del monte si allarga di molto la linea dell'orizzonte, e di un fresco venticello ti ristora l'alito; proprietà de' luoghi alti ed aperti. Una nuova strada, già tracciata poco sotto di questa valicherà fra qualche anno le colline sottostanti a Rojate per far capo ad Olevano, stringendo così una intima relazione fra Subiaco e i Castelli Romani. Pria di entrare in Afile che al sesto miglio si fa avanti, la via spezza alcune fabbriche romane che fors'erano bagni pubblici, attesi i condotti di piombo là rinvenuti e la positura ai muri dell'antica città. Per un frammento pelasgico rasente la strada, le mura si posson tracciare senza esitazione intorno ai campi sparsi di mattoni e declinanti al sud-est tra Afile odierno e la via. L'Acropoli dovea torreggiare sul più alto colle di tufo, tagliato intorno intorno.

Il Castello d'oggidì rinomato pel suo vino che morde i labbri e avventasi alle ciglia, nulla ha d'interessante, tranne due Iscrizioni. La prima incastrata ad una fiancata del Campanile gotico della Chiesa Parrocchiale dice:M. VALERIO . ADMETO - VIATORI . PR. ET - COS - SEVIRO . AVG. - FECIT - VALERIA . M. F. - QVINTA - PATRI . PIISSIMO . ET . VALERIA . SYMPHERVSA - CONIVNX -. L'altra scolpita ad un piedistallo nella piazza:L. AFILANO . L. F. - AN. PROVINCIALI - EQVO. P. ORNATO - LVPERCO . DESIG - HVIC . ORDO . STATV AM DECREVIT -- L. AFILANVS . VERECVNDVS . H. V. S. R - L. D. D. D. -.

Può darsi che Afile in origine un Oppido fosse degli Equi, i quali disfatti, la romana politica lo costituisse Colonia. Imperciocché Frontino nel Trattato De Coloniis, scrive: Affile Oppidum lege Sempronia: in contrariis et in laciniis ager eius est assignatus: iter populo non debetur. Così Plinio fra le Colonie ancora esistenti a suoi giorni nomina l'Affilana. Ruinato Afile dalla prima invasione de' Barbari, gli abitanti si rifuggiro nel colle più al sud, dov'esisteva certamente ai tempi di s. Gregorio, che ne' Dialoghi lo chiamò erroneamente Effides, seppure tale sbaglio non si voglia attribuire ai Copisti. La Cronaca Sublacense pubblicata dal Muratori, racconta che il 18 Ab. Leone acquistava a s. Benedetto Effidem Castrum.

Impadronitosene un nobile Romano, di nome Edmondo, nel 1116 si portò a Subiaco il Pontefice Pasquale II, e con le sue truppe e le abbaziali richiamollo alla soggezione unitamente a Ponza. Nel 1799 a dì 16 luglio dalle ore 23 della sera alle cinque della notte la Terra fu presa d'assalto, saccheggiata ed arsa da Gian Pasquale Caponi, perché favoriva i Francesi; ma fu tosto rimessa in piedi.

Uscito d'Afile per la porta ad arco acuto, una via antica, detta di Rojate, ti conduce ad un ponte sopra largo fosso. Entrata d'estate nell'arido letto di questo, miri una vallata semicircolare a destra circoscritta da colline messe a viti e olivi; a sinistra dalla bruna montagna Rojatense; al punto medio poi del semicerchio uno spettacolo pittoresco in sommo grado ti attende. Se il vento le cime crollerà delle querce abbarbicate sulla montagna di mezzo, ti sarà cagione di fremito l'idea che un'improvvisa inondazione prorompa, e ti venga a rotolare addosso i molari sassi, di cui giuncato è il letto del torrente. Avvicinati alle radici del monte. Grigio ma verdeggiante scoglio cala a picco sopra un gruppetto di arbusti radicati sulla più orrida caverna del mondo. L'asprissima apertura lascia una branca sospesa in alto, poi drizza un arco ogivale, e dietro a questo getta a piombo un grosso scoglio. Appena entrato, da una larga fessura piove dalla volta sulle pareti della grotta tanta luce, che senza il soccorso de' lumi per un buon tratto ti mostra ovunque il masso crepacciato o allungato in liste. All'ingresso di tre archi, de' quali uno solo si addentra per tutto il viscere della montagna, incomincia l'oscurità. Qui accesa una fiaccola, investigar puoi tutto l'andito popolato dalle stridenti nottole, finché non ti restituirà al giorno un'alta e stretta apertura arcuata, alla quale alcune balze cascano addosso, chiuse nel fosco ammanto de' lecci. Quanto meraviglioso sarebbe il colpo d'occhio offerto all'amatore delle naturali bellezze da una illuminazione di bengala per tutto lo scheggiato seno del Pertuso? Alla mancanza di questa, l'immaginazione supplisce col dipingersi il fragore, il sobbollimento delle acque nell'inverno rovesciate contro i macigni che tutto il suolo inaspriscono della grotta. Un contadino, per descrivermelo, ha detto che un Predicatore potria valentemente echeggiare gli urli lamentevoli e le bestemmie delle anime dannate, se in qualcuna di quelle inondazioni si abbattesse.

A vista di Afile ma a sinistra della Via degli Ernici sopra un monte scosceso e tagliato all'intorno giace Ponza. Nel detto assalto delle genti di Pasquale II lo circondavano mura guernite da validi torrioni. Ma dopo la resa furono demolite le mura, e con la Rocca mutilate le torri. Una Porta del Castello attaccata ad una vecchia casipola è composta da un arco ottuso di pietra. Avanti ad essa si ravvisano alcuni pozzi, e in un masso scolpita una stelletta denotante il sito d'una fontana, alla quale i pastori han troncato per pigrizia il condotto. La Chiesa maggiore è a tre navi, di ordine ionico. Tre capitelli con pezzi di colonne provenienti da Arcinarso servono di acquasantiera.

Quattro miglia più lungi a sinistra della via rotabile alcuni ruderi t'inviteranno a salire nel campo soprapposto. Ivi ti ferisce gli sguardi una Torretta, già maschio d'un fortino quadrato. Presenta due entrate, una dalla sua porta or mezzo sepolta, l'altra dalla fessura quanto è lunga la parete meridionale. A che fu dessa innalzata? Chi le aprì una breccia sì alta? Girando gli occhi all'intorno ti si allunga all'Est una larga pianura terminata da un semicerchio di montagne,che l'una sull'altra avvallano il capo maggiormente calvo quanto più si estollono. Sceso dalle ripide balze su cui sta la Torre, vedrai aderente a queste un grande ammasso di ruine che, sulla superficie mostrano colonne, architravi e tavole di marmo, e reticolate mura. Un piano giuncato di migliaia, e migliaia di mattoni si stende ad un laghetto, e facendo il giro di un semicerchio montuoso ti arresta ad un'antica fontana, dalla quale zampilla fredda e limpida l'acqua che introdottasi nell'apposto condotto scorreva sino al prossimo edificio laterizio. Forman questo due corridoi che nel muro comune aveano nove nicchie, com'era stile de' romani bagni. Questa Villa, a cui non accordo più di tre miglia di circuito, ha offerto a Pio VI gran numero di marmi per la Collegiata di Subiaco. Gli scavi a spese de' privati sonosi fatti all'oscuro, e quel ch'è peggio alcuni lavori preziosi dagli operai stessi trafugati. Benché stanze a musaico, marmi sopraffini, oggetti d'oro, vasi, capitelli, cornici, colonne sieno venute a luce, il tutto d'un lavoro esquisito; contuttociò non si è arrivato giammai a conoscere una Iscrizione, cosa notabile e singolare in tanta ricchezza di antichità dissepolte. Sarebbe utile che uno scavo regolare da valente Archeologo venisse presieduto con l'intervento della Forza armata, onde i monumenti non s'involino. Ma per tornare alla questione già piantata, chi fabbricò la presente Villa, e a quali vicende andò soggetta? Tutti gli Scrittori che hanno voluto parlarne, assisi in Cattedra l'hanno confusa con la Villa Neroniana Sublacense. Ma è inutile che io perda il tempo a confutare quest'assurda sentenza. Che se creder si voglia d'un Imperatore, il pizzuto monte imminente alla Villa, la direbbe di uno degli Antonini. Nella cima infatti stan le vestigia di un Castello distrutto chiamato nel Medio Evo Mons Antoninus e presentemente per corruzione Monte Tuino. Qualunque però sia stato della Villa il fondatore, sembra, non si possa dubitare che il Romano Patrizio Narsio (già da noi conosciuto padrone della Sublacense circa il 369 dell'E.V.) costruisse l'Arce ossia la Torre, che a tutto il prato comunicò il suo nome. Ond'è assai probabile ch'egli spogliasse di quasi tutti gli ornamenti la Sublacense Villa per abbellimento di questa. La distruzione poi della medesima non si anderà lungi dal vero se si pone circa il 408-9, quando i Goti saccheggiarono Roma e la Campania, ovvero dopoché i Vandali e Mori diedero il sacco a Roma per 14 dì nel 455.

Prima di accingersi a compiere le tre altre miglia che pei fianchi sassosi de' monti corrono fino a Trevi, è solito di render visita alla vecchia Osteria posta in mezzo al Prato. Facendo capo nell'affumicata cucina i Montagnoli dell'Abruzzo, di Ponza, Trevi, Fillettino, Guarcino, Anticoli, e Piglio, i Pastori e i loro Molossi, il Pittore può figurare i più curiosi gruppi del mondo, il camino a larga cappa e i rustici sedili. Qui vicino sopra un'altura a settentrione era il Castello Collalto, ora disabitato; e appié de' monti a destra sorge la Macchia del Piglio famosa come ricetto di Banditi prima che fosse diradata, e alle querce i palpitanti brani si appendessero de' côlti dalla Giustizia. È ancora qui presso uno stagno o laghetto di profondissima vena, per lo che assorbì talvolta i vitelli ch'ebbero l'audacia di pescare nel centro. Produce tinghe molto delicate e saporite, ma non come le trote dell'Aniene.

La seconda via che da Subiaco porta a Trevi, è cognita al nostro Viaggiatore fino alla Chiesuola di santa Crocella. Di là scende sassosa il ripido Monte Taleo così io credo denominato dai Romani o perché sacro a Mercurio come quello di Grecia, o perché gli Equi calavano sovente da questa parte a rubar loro il gregge, onde non restasse menzognero il settimo libro dell'Eneide che li pubblica soliti a vivere di rapine. Giacea nel piccolo ripiano a destra il Monastero da s. Benedetto dedicato ad onore di Michele Arc.; ma l'Agricoltura l'ha spiantato. Qui comincia ad avvicendarsi una scena di scogli piramidali, cavi, a denti serrati, e senza denominazione propria in Geometria. Spicca fra gli altri Morra Botte, e la rupe triangolare, su cui le abbrunite mura di s. Girolamo somigliano un forte. Il fiume che strepita continuamente a dritta, dovea formare il secondo lago al tempo di Plinio incominciando dalla Cascata di s. Benedetto fino al ponte s. Mauro; il pezzo di muraglione rimasto tuttora a pescar nell'acqua su gagliardi fondamenti ne minorava l'impeto, affinché non spezzasse la roccia, in mezzo alla quale or si precipita. Ma corrosa questa dalla violenza delle alluvioni, e ruinato il muro, non si poté più distinguere il primo dal secondo lago e si disse sempre uno. Vicino ad uno scoglio fesso per lo mezzo e lavorato dalle acque, e ad una grotta traente alla forma ogivale, si ode il rimbombo d'una Cascatella ombrata da un gruppo di pioppi. Nel passare alle radici di Monte Porcaro, i soli contadini del luogo ti potranno insegnare il sito de' Monasteri da s. Benedetto eretti a s. Andrea di Vito Eterna, e a s. Vittorino M.

Con un viaggio di un'ora e mezzo deviando pei fianchi della stessa Montagna, può, chi ne avesse voglia, visitare sulla cima le ruine del Castello di M. Preclaro abbandonato dagli abitanti verso l'anno 1470. La Torre nel 1082 fu elevata dall'Abate Giovanni V unitamente al Palazzo e Chiesa che fece anche dipingere. Questo Abate costruì pure la Fortezza sottoposta di Ienne, non ha guari demolita. E nelle adiacenze in una notte oscurissima e piovosa con l'Abaziale Esercito piombò sopra una squadra di Normanni e Longobardi condotti da Giordano Capuano e da Ildemondo che anelava all'acquisto di Ienne. Il Mirzio narra :«Consopitos nihilque tale suspicantes Normannos atque Longobardos undique oppressit, ingensque eorum caedes facta; eorumque apparatus omnis et sarcinae in praedam Abbatialibus cesserunt, et reliqui confusi ad sua cum ignominia redierunt». Ienne è famosa negli Annali patrii perché vi nacque Rainaldo de' Conti che asceso al Pontificato col nome di Alessandro IV, vi andò a passare i 4 mesi più caldi dell'anno 1260. Di molte guerre fu causa, sovente disputato al Monastero e dai Trebani e dai Baroni. Vi si ritirò Ademaro, ponendovi la sede delle sue crudeltà. È celebre l'ordine col quale si fé davanti portare sette Padri del Monastero di s. Scolastica. Rinchiusili in tetra prigione, affamati e squallidi li fé sospendere coi piedi in alto, mentre sotto le pendenti teste lento lento ardeva il fumo e li affumicava. Con animo costante i poveri Monaci perseverarono e moriron in tali tormenti, di cui all'infame Barone venne taccia d'avere abusato contro persone innocenti pel solo sospetto che fossero al tradimento della sua morte, ossia lo volessero avvelenare.

Sotto Ienne al grigio color delle rupi succede vigorosa vegetazione e d'ambo i lati riveste le precipitose chine. Due oggetti l'uno prossimo all'altro la curiosità del viandante risvegliano. Il primo si nasconde appiè della montagna del paese. Gli arbusti attorniano un piccolo vano di monte, sotto il quale sta celata una caverna di terribile nome, sendo detta dell'Inferniglio. Macigni sterminati da essa vomitati ritardano i passi di chi le si avvicina. Sul limitare un romor cupo le orecchie ti percuote. Provvisto di lumi se ne visitano le profonde latebre. L'acqua che ivi dentro stagna in eminente grado fredda, nell'inverno sbocca strepitosa a trascinar cumuli di sassi. Gli animali irragionevoli, dando retta all'istinto, ricusano di beverla, e se la trangugia l'incauto passeggero acuti dolori ne risente il di lui ventre. Gli Iennesi favoleggiano che dal fondo di quelle acque escano le anime malvage fuor della Grotta, e allungandosi bianche e scarnate a superar la montagna stendan le mani ad aggrappare qualche vivente, il quale rannicchiatesi rapiscono sotterra sin all'Inferno. Il secondo oggetto curioso a vedersi sta nell'opposto lato della strada. Ivi il fiume prima si presenta scisso da isolette terragne aggregate e rattenute da fronzuti alberi, indi fa una Cascata spaventevole sopra la Mola. Questa è una casipola che, avviluppata in verde manto d'ellera, si unisce ad un colle. Nel davanti una folta selva di alberi con inverse e molteplici injezioni di rami tenta nascondere enorme scoglio, alli erbosi fianchi del quale spumanti si gettano e con impeto le acque, che anzi escono dal seno di esso, apertovi un meato e flagellandolo. Più in alto un travicello sulla poc'acqua della Mola ti traghetta a vedere appoggiato allo scoglio un muraglione, in cento parti solcato dalle onde. Un gruppo di salci, affacciata la testa su la Caduta, sembra tremare meditando il salto. Ritornato indietro, un ponticello ti guida all'altra sponda ad esaminar la saldezza de' bruni petroni tenacemente gli uni con li altri addentati. Chi ha potuta erigere un'opera sì grandiosa e forte? Io vi riconosco la mano d'un Imperatore Romano, forse di Caligola, e la giudico edificata evidentemente per formare la chiusa, dalla quale si precipitava il fiume in tre laghi a purgarsi.

Proseguendo il cammino s'incontrano due ponti nomati di Comunacchio, o Communis aqua, perché il fiumicello di Vallepietra si unisce ivi al Trebano. Passato il ponte a sinistra, in un terreno a destra ho veduto in quest'anno scavare un muro reticolato e un pavimento di musaico, resti di qualche villa romana che poi nel 1082 cedé il luogo al Castello di Comunacchio, il quale cominciò, a desolarsi nel 1470. Di costa a questo campo la riviera sotto parecchi tronchi d'alberi spumeggia, e da un alto declivio arricciatasi i pietrosi lati flagella; e piomba in sussulto al fondo. Una selva di aceri, carpini ed ornelli si china ad ammirare il salto coraggioso. Tale Cateratta si chiama Péndema.

Dopo un altro miglio nella vigna Cecconi a sinistra sulla strada una torretta che il nome ritiene di Mestia Gaetani, la situazione segna del Castello desolato di Ursano. Sopra un colle aprico si scorge l'Eremitorio di s. Angelo, un dì Monastero di Vergini Benedettine. Si passa quindi vicino ad una Cascata novella, dalla quale si getta il fiume, dopo slargato il suo alveo a guisa di lago. Mesi addietro sul ponticello che la riguarda, coltomi la notte, io miravo il disco lunare levarsi tetro sulle nere montagne, in mezzo a cui ci siam cacciati, e a mala pena inviare alcuni raggi dal fosco sen delle nubi a rifrangersi nella Cascata. La qual cosa in un sol punto mi poneva innanzi agli occhi l'orridezza de' luoghi da noi corsi per questa via che dopo un'altra salita fa capo a Trevi.

Trevi.

Prima di arrivare alla cima del monte, su cui giace Trevi, la via entra nel vestibolo di due Cappelle insieme congiunte. Sull'altar della prima la nicchia racchiude l'imagine della Vergine sotto il titolo del Riposo. Un baldacchino toglie la veduta de' 4 Dottori della Chiesa nella volta dipinti. Sull'arco del cancello di ferro è ritratto il Redentore fra li Apostoli Pietro e Paolo e un Serafino. Gli altri affreschi sono:

A sinistra:

  • Due ss. Sebastiani, due Madonne.

 

A destra:

  1. S. Pietro eremita.
  2. Un Angelo presenta la scritta: QUESTA . CAPELLA . AFATTA . FARE - LO . PPLO . DE' . TREVE . AD . HONORE - ET . LAUDE . DE . JESU . CRISTO . ET . DELLA - SUA . MATRE . SANTA . MARIA . DELLO - REPUSU . LA QUALE . LI . HA . LIBERATI . DE . MORBO . ET . DELLE . MANI - DELLO . DUCA . DE . CALABRIA . ET . DE - SUOI . SEQUACI . CHRISTIANI . ET - TURCHI . INFIDELLI . A . D . MCCCC - LXXXIII . PETRUS . PINXIT -

 

Alla seconda Cappella l'affresco dell'altare pone intorno a s. Sebastiano diverse nobili Persone viventi nel paese al tempo del Pittore, e di queste forse il nome leggeasi nelle parole rotte dall'umido che a pie' delle figure correano. Gli altri affreschi rappresentano s. Cosimo Farmacista e M., e ripetutamente la Madonna, s. Biagio Vescovo, s. Pietro Eremita; due Processioni in giorni di pestilenza, e alcuni Sebastiani, sopra uno de' quali sta scritto: Desiderivs Sublaci Pinxit 1486, mentre un altro regge la seguente memoria: QUESTA CAPPELLA . AFATTA . PENGE- RE . ET FABBRICARE . DALLE . FUNDAM - ENTA . LU POPULO . COLLI - FRATERNALI . DE . TREVE . AD . LAUDE ET . REVERENTIA - DELLO . ONIPOTENTE . DIO . ET . DALLA - SUA . MATRE . VERGENE . MARIA . ET . DE - SANCTO . SEBASTIANO . MARTIRO . G - LORIOSO . CHE . LI . ASCAMPATI DE . MORBO -

Tra le mura e i frammenti di torri e baluardi che d'ognintorno cingono Trevi, si aprono quattro porte. La settentrionale chiamasi della Fontana, la occidentale Portella, quella a mezzogiorno della Mola, e Maggiore quella di levante. Le vie interne, comeché quasi tutte in piano e ben selciate nella età di mezzo, con lieve dispendio comodissime rendere si potrebbero. La Collegiata di s. Maria, rimodernata verso il 1610, si divide in superiore ed inferiore. In questa le mortali spoglie si conservano dell'Eremita Pietro, del quale i prodigi e la vita spesa in felicitare il Castello spinsero questo a proclamarlo Patrono. La Chiesa superiore a tre navate mostra nella prima Cappella a sinistra un buon quadro della Madonna del Rosario, appartenuto all'antica Chiesa di s. Andrea di Subiaco, e nella terza il quadro rappresentante li ss. Cosma, Damiano e Rocco, nobile lavoro del Cav. Manenti (1662). D'un romano capitello di ordine jonico si giova il Fonte Battesimale.

La Sagrestia oltre due calici e due Croci Capitolari di gotica fattura, serba la veste di s. Pietro, la quale annualmente distribuisce molta lanugine ai devoti senza diminuir dipeso, miracolo che qualunque è in grado di giudicare. L'Archivio attrae la visita di chiunque cerchi notizie edite ed inedite intorno a tutto il Lazio. Il P. Pierantoni della Compagnia di Gesù e nativo di questo Paese consecrò il suo ingegno a tale opera voluminosa. Io credo che questo dotto occupi un de' primi posti fra i raccoglitori di antichità nel secolo XVII. Egli, per servirsene all'uopo, copiò da capo a fondo la Cronaca del Mirzio, il Poema La Valle Sacra del Contestabile, e si fece dirigere una infinità di memorie e descrizioni. Così arrivò a comporre Gli sagri Secoli Sublacensi, l'Aniene Illustrato, la Vita di s. Chelidonia, e una Vita di s. Pietro caricata di notizie intorno ai paesi, pei quali il Santo passava. Non ostante queste erculee fatiche, in fatto di Archeologia egli sbalestra sovente, anzi qualche volta è di due pareri diversi, colpa della età in cui viveva, e indizio ch'ei le sentenze di scrittori differenti copiava. Onde se noi in qualche perduta notizia ricoremmo a lui, non siamo stati sì ciechi da seguirne le pedate, camminando sui monumenti dalla falce del tempo riveiti, giacché allora nostra guida fu la Critica e gli antichi Scrittori.

Nella Piazza sopra tronchi di colonne scanalate di cardellino posano sei capitelli di pietra di grossa dimensione e di ordine jonico, come quello del battistero seguiti da uno più elegante ma minore, dell'ordine stesso e di marmo. All'opposto lato una pietra quadrata tiene scolpiti i nomi di due Censori: A . TITIVS . L . F . M . VERGILIVS . M . N . CENS . D . S . C . - M . VERGILIVS . M . F . A . TITIVS . L . F . CENS . - Non lungi sta l'Oratorio formato nella Casa ove Pietro morì. Belle sono le statue del Santo. moribondo e dell'Angelo che invitalo al Paradiso, la prima scolpita dal Gramignani, l'altra dall'Algardi. Siegue la chiesuola di s. Isidoro che ha dipinti in una nicchia i ss. Vito, Leonardo e Felice (1601). La Campana di maschio suono per una iscrizione gotica scrittale nell'orifcio si rileva fusa nel 1329 da un Giacomo di Veroli ad honorem Dei et Patriae liberationem.

Nel visitare la più alta parte della Terra si passa innanzi ad un muraglione di grossissimi cardellini quadrilateri, l'uno riposto sull'altro senza collegamento di calce. Un atrio a due archi conduce alla contrada Civita. La signoreggia il vecchio Forte, del quale benché laceri i fianchi sussiste intero il maschio. Qui si osservano due porte acute, molte feritoie, una finestra di pietra a due archi (a cui fu tolta la colonnetta sostenitrice), e qualche traccia di colorito.

La denominazione di Civita rimasta a questa contrada, rimembra l'antico titolo di Città, del quale Treba godeva. Essendo questa la parte più culminante ed aspra del monte, non fa specie che qui sorgesse l'Acropoli, di cui può essere un saggio la valida muraglia dell'entrata. Le ruine superficiali della Città son visibili pei fianchi del monte al sud, est, nord. Quantunque nessuno siesi messo in cuore di farvi uno scavo generale, nondimeno il caso e i rustici lavori scoprirono qualche monumento. L'anno 1665 nel rialto Ripa fra Porta Maggiore e Porta della Fontana l'acqua scoprì alcune camerette pitturate e col pavimento messo a musaico di varii colori. La vigna Cecconi a destra e poco fuori della medesima Porta Maggiore è ricinta da mura ciclopèe, provvista di due pozzi e di spezzate fabbriche, segno sicuro di un fortilizio a guardia di tutta la pianura che a levante si allunga. In queste vicinanze il dì 25 aprile 1600 si scavarono in pezzi due grandi lapidi di marmo bianco, ora smarrite. La prima celebrava Cesare Augusto; avea la seconda due iscrizioni, una per faccia, in onore degl'Imperatori Settimio Severo, e Commodo. S'incontrano poi due Chiesuole. La figura di s. Lorenzo in una è del 1562; la Madonna, s. Niccola V., s. Antonio da Padua, e s. Pietro Eremita nell'altra rimontano al 1351. Siccome nella vicina Icona di s. Barbara si ha per continuata tradizione che si aprisse una porta di Treba, e il monte vedesi tagliato a filo specialmente al fianco settentrionale, e inoltre sopra e sotto la moderna strada appaiono resti di mura pelasgiche; perciò io sono di opinione che l'antica Cittadella o Acropoli da Civita si stendesse per la vigna Cecconi sino alla detta Icona, dove schiudevasi l'accesso. La Città poi si dilatava al sud dalla vigna di Cecconi e poco sotto le odierne mura sino alle radici del monte; ed al nord-est per la china e i campi fino alla Suria (sorgente limpida e salutare al capo ed al ventre assai più dell'Oraziano Digenzia). Infatti tanto sul fosso come al pie' della montagna ricorrono le fila di mura pelasgiche. In uno de' campi al nord appartenente alla famiglia Ricci, due o tre anni fa sono venute a luce 12 idoletti di bronzo. Il P. Pierantoni racconta che per tutto il monte si trovarono molte statuette di bronzo e di argento, pezzi di statue di marmo, e di colonnette, condotti di piombo, ed altri oggetti di antichità senza numero, venduti quasi tutti appena trovati ai forastieri. Prossima al pomerio sorgeva la Chiesa Cattedrale sagra a s. Teodoro; non che il Palazzo Episcopale ad essa contiguo. La campana esistente alla Chiesa di s. Teodoro dentro Trevi si vuole tolta da questo luogo. L'edificio intero ancora sussisteva nel 1260, giacché vi dimorò il Cardinale Ugone di Sabina qui visitato da Giacomo Pantaleone Patriarca di Gerusalemme, il quale l'anno seguente fu alla Cattedra sublimato di Pietro col nome di Urbano IV. La ricostruzione della Collegiata di s. Maria (1610) atterrò quasi tutto il fabbricato, con le ruine di cui è stata eretta una Osteria; ma l'andato splendore attestano sì nell'orto come nella strada alcune fila di larghi cardellini. I campi che si avvallano a levante pieni di mattoni e pietre doveano fiorire di superbe ville. Spesso l'aratro vi dissotterra una quantità di nummi romani.

I Geografi stimano Treba l'ultim'Oppido degli Equi. Il Corradini appoggiato a Floro e a Dionisio osserva che pure i Trebani si unirono a proclamare Capo della Lega Latina contro Roma Tarquinio Superbo. Livio lib. III parlando delle conquiste fatte da Gn. Marcio Coriolano a favore de' Volsci dice che prese anche Trebia. Frontino nel. lib. De Aquaed. la chiama Treba Angusta o piuttosto Augusta. Plinio rammenta i Trebani nella prima Regione d'Italia che il Nuovo Lazio comprendeva e la Campania. E Tolomeo numera tra gli Oppidi Mediterranei de' Latini ?????. Disfatto l'Imperio Romano con la presa della Capitale, senza dubbio fu anche Treba saccheggiata ed arsa dai Barbari. Il popolo superstite si dovette fortificare nel sito dell'Acropoli, e vedendo ovunque disordini governossi a mo' di Repubblica Aristocratica. I Capi si chiamavan Seniori. Sostenne guerre contro gli Abati Sublacensi per Monte Porcaro, Genne e Collalto. Cadde in appresso sotto il braccio baronale. Risulta da pubblici Istromenti dell'Archivio Sublacense che Rainaldo e Filippo di Ienne nipoti di papa Alessandro IV vendettero il dominio di Trevi posseduto da' loro Maggiori ai Conti di Caserta per ventimila fiorini d'oro. Vi comandava Benedetto Gaetani Conte Palatino negli anni 1371 - 72 - 73; e nel 1461 Mestia Gaetani. Dopo la morte di questa Sisto IV nel 1473 aggregò Trevi pel governo temporale all'Abazia Sublacense retta allora dal Card. Roderico Borgia.

Treba fu Città Vescovile sino al 1058, anno in che papa Vittore II per la povertà delle rendite la privò della episcopale giurisdizione su Felettino, Vallepietra, Genne, Collalto, Monte Antonino, Monte Preclaro, Communacchio, Ursano, Casarene, e la incorporò alla Diocesi Anagnina col titolo di Abazia secolare di s. Teodoro. Gregorio IX (1227) non solo per la povertà delle rendite ma ancora per lo scarso numero de' sudditi tolse all'Abate la giurisdizione quasi episcopale, dandola al Vescovo di Anagni. Ma il Pontefice medesimo accordò all'Abate il più ampio onore infra i Prelati dell'Anagnina Diocesi. L'anno 1638 vide la Chiesa Trebense smembrata dall'Anagnina per decreto di Urbano VIII, ed unita all'Abazia Sublacense.

Sul fine del secolo passato e al principio del corrente la storia ci richiama a Trevi, quando vi si fortificò Gian Pasquale Caponi Capitano del Re di Napoli. Egli risarcì le mura, e vi si rifuggì come a sicuro asilo dopo la resa di Subiaco; ma non ristette dal tormentar continuamente gl'inimici pei dintorni sinché non fu ristabilito il Governo Pontificio. Avanzato in età morì in questo paese medesimo; dove trasportati avea i domestici lari, insoffrente i nativi luoghi che la perdita di quasi tutti i suoi beni gli ricordavano.

Circa un miglio lontano da Trevi per la via di Felettino in un campo a destra varie querce spandono i larghi rami frondosi ed incappellano un'arida scogliera. Scendesi a basso dove lo scoglio a punte sporgenti s'incaverna. Nell'imo fondo spumanti si precipitano da un doppio foro due torrenti. I massi dalla rupe staccati sembrano volersi opporre allo sgorgo, ma sol ne rompono l'impeto, giacché, divisa la corrente in parecchi ruscelli, fragorosamente li percuote, e penetrando sotto di essi o battendone i lati, si getta da parti diverse in una specie di catino, poi sobbalzando si riunisce al fìumicello di Felettino. La selvetta di piante che dominata da un carpino pende sulla Grotta, una caverna che sotto la medesima scogliera si cela dietro le larghe foglie de' sambuchi, gli arboscelli del colle terragno innanzi all'imboccatura dell'Antro, e la vista di macchie all'altra riva, rendono il luogo piacevole ed ombroso nella calda stagione. Se tutti i Pagani erano del sentimento di Seneca, v'innalzarono certamente all'Aniene un'ara. Oggi che quei sogni si dileguarono, c'immaginiamo uno di quei Cherubini, ai quali fu dall'Onnipotente commessa dei fonti la cura, folgorante nella corazza del romano guerriero o assidersi alla bocca dello Speco, o ficcar la punta della spada nelle sorgenti a sbalzarne i macigni che là piombati dalle viscere del monte, proibirebbero alle acque l'uscita.

Si è agitata la questione, se dicendo Plinio: Anio ex Trebanorum montibus ortus, abbia preso abbaglio. Si vede infatti che il fiume non ha dal territorio di Trevi la prima scaturigine, ma da quello del prossimo Felettino. Senza dubbio non si potrà mai provare che Felettino sia di antica data; ma io porto opinione che rimonti all'epoca, in cui gli abitanti di Treba furono costretti a fuggir ne' più ascosi recessi delle montagne. Una banda di fuggiaschi là si adunò formando il Castello. Questo ricevette dalla madre patria una sterile parte di territorio. In tal guisa io tolgo a Plinio il biasimo di avere errato sull'origine d'un Fiume tanto celebre e tanto a Roma vicino.

La Certosa di Trisulti.

Tra la quiete della notte e 'l silenzio di questo Monastero, prendo la penna a descriverti la gita d'oggi. Stamane di buon'ora il Ponte di s. Teodoro mi ha traghettato nella strada di Guarcino, la quale dal principio scopre un resto del suo antico selciato. Dopo un tratto la mia Guida mi ha fatto scendere pei campi sino alla riva di un fosso perenne. Lasciando dal lato un gruppo di annose querce, e scesi in mezzo a due vecchi carpini, ci siam trovati nel letto asciutto di un torrente, ma tutto sparso di sassi e di un tappeto di muschio imbianchito dalla schiuma. Vicino sta piantata una roccia, in alcuni punti vestita di ornelli, olmetti e rosseggianti spine; ma nella parte inferiore in larga grotta vaneggia. Il curioso che qua venga provvisto di una fiaccola a vento, e non tema il brivido cagionato dal primo tocco dell'acqua al nudo piede, con diletto può inoltrarsi circa un quarto di miglio pel cavernoso seno. Ne' grandi temporali d'estate, nelle lunghe piogge, e quando le nevi si sciolgono, una piena assai alta si precipita per l'andito tortuoso, trascina seco macigni, de' quali sono un saggio quelli che nereggianti aspettano alla bocca della Grotta e per l'arido alveo un'altra alluvione. Al cozzo de' sassi contro la rupe e al fragor della corrente che li spinge, esce dal grottone un suono cupo, orrendo, che fa gridare al Contadino accorso:è sboccata la foce, poiché tale è 'l nome dato al torrente.

Seguìto il corso del fosso, e vedutane l'origine detta Capo d'acqua in un muro, dal quale per 4 fori quello sgorga e riempie un fontanile; sopra lo scoglio che s'erge a sinistra, rispiana il terreno. Alieno dal credere non sono che due fila di mura pelasgiche ivi giacenti indichino il recinto d'un Castello degli Equi, benché nessun altro fatto abbia questa osservazione. I mattoni che spesseggiano in quel campo, composer forse la Villa di qualche dovizioso Romano lieto di alzare le sue delizie intorno al monumento di vittoria riportata su quella infelice nazione Equicola. La moltitudine degli schiavi che in queste parti travagliavano, avrà donato il nome di Schiavia alla contrada. E il Castello Casarene che non molto distante sorgea, al disfacimento dell'Impero si popolò di quei servi.

Entrasi poi nella contrada Campo. A fianco alla strada adorezza un alto Cerro e de' larghi rami spande la pompa. Se si sta alla credenza popolare, appellasi di s. Pietro, perché si ricorda il secolo di quel Confessore: così che avrebbe circa 600 anni. Verso l'oriente una catena di montagne disserra due gole. In quella a sinistra alle radici di monte Calvìglio lanciati i sassi in un foro rotondo, dopo un pezzo se ne odono i tonfi nell'acqua. Si chiama il foro pozzo dello stretto. Si è fatta l'esperienza che gettata una grande quantità di paglia in questo pozzo, è ita a riapparire nella Grotta della Foce, prova della loro ascosa comunicazione. Nella gola a dritta dopo un'ardua salita un arco di massi disorbitanti mi ha colpito lo sguardo. Non mi è ignota l'opinione di chi lo stima un acquedotto, ma osservandolo esattamente, assai strana mi è sembrata: ché di condotti non vi è segno. Siccome ha diviso sempre il territorio di Guarcino dal Trebano, perciò lo reputo formato a determinare il confine degli Equi. Ed eccomi nel territorio degli Ernici, antichissimi popoli che viventi fra le boscaglie e i monti, in guerra non usavano scudi nè carri; ma grandinavano ghiande di piombo e dardi. Loro coprian la testa galeri o cappelli di pelle lupina; nudo il pie' sinistro, al destro allacciavano un calzare di crudo cuoio che tuttora portano col nome di ciocie.

Per una serra dirupata, entro cui fra breve correrà la strada carrozzabile Sublacense, son disceso a Guarcino, giacente in una situazione amena dal canto orientale, ove comunica con la pianura; dagli altri lati la cingono orridi monti. Vi sono due Locande: belle case, una vaga chiesa; vie comode, ed acque limpidissime. Nell'imo del paese comincia la strada rotabile che dopo sette miglia tocca le famose mura d'Alatri. Abbandonata questa strada, un ponticello di legno presso la Cartiera mi ha messo di Vico sul sentiero. Piacevolissima al mio sguardo si estendea l'ernica pianura terminata da monti di bizzarre forme con sopraccapo diversi Castelli. Osservisi giù nella Via Alatrina una torre a vista dell'altra fondata sul monte di Guarcino. E conciosiaché un'altra alla macchia di Anticoli è a vista di questa e di quella di Monte Antonino e Arcinarso; ho congetturato che i Romani custodi della villa d'Arcinarso le innalzassero ad esplorare la marcia de' Barbari e prepararsi alla difesa.

Sopra un colle verdeggiante d'olivi mi è apparsa la Terra di Vico circondata da mura e 24 torrioni. Più oltre una torre corrispondente a quelle, di cui parlato abbiamo, precede una folta selva di cerri, faggi e querce. Un Contadino mi ha guidato a destra pe' campi a vedere uno spettacolo meraviglioso e rarissimo. All'improvviso ti trovi sulla sponda di un precipizio quasi circolare della periferia di circa palmi duemila. Allo scoglioso orifizio stanno abbarbicate verdeggianti querciuole, ma dalle pareti che al fondo calano perpendicolari, solo spenzola qualche pianta erratica; nel resto dove l'acqua ha corso senza ritegno, sono levigate, dove ha incontrato impedimento, più o meno le ha rese aspre e spugnose, ne ha divise le masse o allungandole in bianche zone, o travagliandole a capriccio. Nel fondo, a chi nol sapesse sembra che vegeti un prato di erba; ma quella verdura è de' rami, i quali insertando le chiome, coprono i fusti degli arbori alti da 36 a 40 palmi. Ad un tratto ha cominciato a spirare fortissimo vento che penetrando colaggìuso, con mio grande stupore ha fatto ondeggiare e strepitar quello strato di foglie. A tal rumore hanno due colombelle lasciati i loro nidi, e disperatamente han preso gemendo il volo prima verso di noi, poi, atterrite dalle nostre mosse, sino ad una considerabile altezza, e infine l'hanno ripiegato verso la macchia di Vico. Mi ha detto il Contadino che laggiù avvi gran copia di animali, come cervi e lepri: che i Pastori ardiscono qualche volta scendervi raccomandati alle corde, e vi lasciano pascere ed ingrassare per mesi e mesi qualche capra. A spiegare la cagione dell'avvallamento della rupe, come pure dell'esistenza degli arbori ed animali nel fondo, l'Abate Domenico Santucci congetturò che anticamente il terreno cogli alberi ed animali copriva il presente orifizio, mentre al disotto si celava una Grotta. Le acque, oppure una forte scossa di terremoto lo precipitarono a basso.

Dopo un miglio sopra un rialto sfilano soggette a una torre le poche case di Collepardo, castello preso con Vico ai 21 giugno 1484 ai Colonnesi dalle truppe Pontificie.

Lo stradale fuori di Collepardo mi ha condotto ad ammirar la scena di eccelsi monti vestiti in gran parte di bruni e annosi arbori, intorno a cui la nebbia sfumava o si stringea. Sublime è lo spettacolo de' picchi, de' cinghioni repenti, sui quali giganteggia il Monna. Lassù nelle cavità degl'inaccessi scogli l'Aquila reale nidifica, e come nelle sabbie dell'Africa i leoni, così ella mena vita solitaria. Non sì però che sovente non lasci il sicuro asilo per ire in busca di serpenti e di agnelli, che appena ghermiti, se li rapisce nell'aerea dimora. Ivi rifuggiano ne' più fortunosi punti le bande di Gasperone; ché ai macigni si leggono impressi a forza di pugnali i nomi di alcuni terribili Briganti. E quivi ancora i serpi velenosi al Botanico incutono spavento, quando a involare si accinge le salutari piante all'Orto del Centauro. Traghettato il torrente che strepita ed inonda la via superbo come le montagne, da cui trae l'origine, si ascende alla sommità dell'erta, ove s'affolla una selva, per la quale van pascendo le vacche, e se alle poppe materne non si attaccano saltellano i giovenchi. Cresce però la meraviglia alla vista della Certosa, che si direbbe un Villaggio sorto nel bosco per incanto. Un Prete Greco con berretto nero in testa, con mantello scuro sopra la tunica paonazza, con barba lunga e imbiancata, passeggiava, guardando il cielo, davanti all'ingresso. Ei parea alla mia Guida un Mago invocante gli spiriti sovrumani onde piovessero la tempesta di acqua che frequenti tuoni annunziavano.

Mi son trovato poi in mezzo a due recinti di mura. A sinistra un giardino botanico ornato di cipressetti mette alla bella Farmacia che di medicine fornisce pure i vicini paesi. L'altro cancello a dritta porta ad un giardino per nutrimento delle api che sul timo facendo grappolo somministrano lavoro alla macchina della cera. Il laghetto, tremolante in un bacino, presta le sue acque alle mole a grano romoreggianti più a basso. Si riesce alla Piazza, e in mezzo di essa salta lo schizzo altissimo di circolare fontana, mentre in un angolo un mascherone ne riversa altrettanta dalla bocca. Qui si entra nella Chiesa di s. Bartolommeo divisa da un tramezzo in due parti. Nella prima è il Coro de' Conversi stupendamente intagliato in noce. Si appoggiano al tramezzo due altari, quello dedicato a s. Michele Arcangelo custodisce il corpo del M. Benedetto, sotto l'altro di san Giovan Battista riposa Bonifacio M.: ambedue i combattenti di Cristo son vestiti da guerrieri. Nel quadro sulla porta d'ingresso papa Innocenzo III conduce al possesso di questo Monastero i Certosini nel 1208; negli altri due laterali il martirio de' Maccabei fronteggia quello de' Certosini in Inghilterra.

Dopo visitate l'eleganti Cappelle, alle quali introduce a sinistra una porta socchiusa, son tornato alla seconda parte della Chiesa, dove si schiera il Coro de' Sacerdoti. Nelle pareti oltre 10 Apostoli diffusi per tutto il Tempio, è dipinto Mosè facente scaturir l'acqua da una rupe al tocco della verga, e a lui in faccia s. Bruno opera lo stesso prodigio. Incontro al Martirio di s. Bartolommeo vedesi la guarigione della Figlia indemoniata di Polimio Re di Persia. L'altare maggiore composto di fini marmi ha cornici di giallo e verde antico, diaspri, agate, ed un ciborio ornato di lapislazzuli. Il quadro con la Madonna, s. Agostino e s. Girolamo stimasi del Cav. d'Arpino, come pure l'affresco dell'Assunta nella volta della Sagrestia. Nella Cappella delle Reliquie è dipinta Nostra Donna pregata da s. Bruno e dai suoi Monaci.

Nel magnifico Refettorio ho veduti i due altri Apostoli compagni ai 10 della Chiesa, ed un bel quadro grande di Baldi descrivente il miracolo de' cinque pani e pesci nel deserto.

Appresso son passato in un piccolo Chiostro, ove il segno della eterna salute piantato sulle zolle annunzia il comune sepolcro de' Certosini. Morto un Religioso, si depone il cadavere nella fossa che là si scava; il Priore pel primo vi getta sopra una palata di terra imitato dai Monaci; e fatta una breve allocuzione su la velocità della vita, raccomanda a questi la memoria del perduto compagno. Chi crederebbe di trovar qui un grande Chiostro che per la estensione somiglia quello architettato dal Buonarroti nella Certosa in Roma? Vero che il nostro reggono pilastri e non colonne, né adombrano la fontana vecchi cipressi. Sul Chiostro ricorre una Galleria di quadri e incisioni: nemmeno manca al Monastero la medicina dello spirito, cioè una Biblioteca ed un Archivio.

Grotta di Collepardo.

Quattro miglia e mezzo circa lungi da Trisulti si aduna la valle, in fondo alla quale mormora e spumeggia il fiumicello Cosa, nome di origine incognita. A sinistra la roccia del Marginato regge a stento i massi rovesciati nel declivio, e da lungi si eleva una rupe che io aveva preso per torrione. Un ponticello rustico gettato sotto l'ingresso di un antro induce il Viaggiatore in sospetto che porti alla ricercata Spelonca; ma la Guida lo fa rivolgere a destra, e gli addita prima uno scoglio spaccato da un fianco, indi un arco a sesto acuto, ossia l'ingresso della Grotta traente la denominazione dal prossimo Collepardo. Postomi a sedere sopra un masso ingombrante l'entrata, ne ho veduto un altro minacciarmi la testa dalla volta, come la spada del Siciliano Tiranno il capo di Damocle.

Dopo mezz'ora di riposo nell'appressarmi all'apertura a destra ho guardato passar nuvolette di fumo che si andavano a spezzare incontro alli scogli e da quelli respinte uscivano e dileguavansi all'aria. Sono sceso poi nel secondo sotterraneo ma assai più ampio del primo ed assai più ingombro di macerie. Alla volta son rimaste sospese molte cristallizzazioni con punte quasi sempre ottuse non terminate dalla pioggia che dalla roccia trapelava ed ora chiusi trova i soliti meati. Mentre ero assorto in tali osservazioni ho sentite alcune voci provenienti da un ripiano sopra un dirupo. Montato su quel ripiano, con indicibile piacere ho trovato illuminata la celeberrima Grotta. A sinistra quattro alte stalagmiti rassomigliano i trofei de' Romani. Son poscia salito alla spianata detta il Palco, dove un pittore Tedesco disegnava la mirabile scena. Figurati di notte un salone rotondo, ma senza pavimento e con volta concava. Avanti alle mura quasi per nasconderle sorgano intorno colonne gigantesche, e di queste si pieghino moltissime nella cima a sostener la volta abbellita di lunghissimi coni e grappoli d'uva. Sopr'alcune non ancora pervenute a tanta altezza immaginati contadini vestiti con semplici camice e brache di tela ruvida ed annerita, i quali ritti abbiano la pazienza di reggere le ardenti fiaccole a vento. Invece del pavimento immaginati una profonda cavità ma ineguale assai, dalla quale si estollono cipressi, palme, nudi tronchi, ermi, busti ed altre petrificazioni tanto variate e bizzarre, che se di tutte la forma descriver si volesse, comporrebbesi un libro. Cinque stalagmiti isolate ti sembrano al verdecupo chiaror delle faci alberi, anzi raffiguri in uno di essi una pigna più colossale di quella di metallo che adornava il Mausoleo di Adriano. Io credea vedere uno di quei boschi misteriosi in cui gli antichi rinserravano le ceneri degli Estinti, anzi sono andato a toccare dubbioso quelli oggetti, ed allora solo si trasformavano in massi; tanta era stata l'illusione! Questo luogo appellasi Baratro.

Arrampicatomi sui macigni inzuppati dall'acqua che vi goccia dall' alto, allo strepito de' passi ed al fulgore della luce un nuvolo di quelli uccelli, di cui disse Virgilio: Lucemque perosae - Nocte volant seroque tenent a vespere nomen, abbandonati gli atri nidi, a scosse spiccava il volo per le foci dell'antro. Diverse stalagmiti guardano l'ingresso d' una Grotta assai maggiore. Essa però non è così abbellita come la precedente, tranne un gruppo di piramidi che le Guide appellano campaniletti; ma è tutta intonacata d'incrostazioni calcaree. Riscendendo nel Baratro son tornato a considerare gli ambulacri che si affondano tra le colonne. Meraviglioso a dirsi! Or sembravami di appoggiare il piede ad una scala precipitosa, or di penetrare in un aquedotto. Ho voluto affacciarmi ad una cavità profondissima, ma essendo levigata chi sa in qual precipizio mi avrebbe ruinato se non mi avessero dissuaso. Non mancherà certo ardire e comodo di provvedersi di corde ed altri sostegni a qualche Viaggiatore per iscoprire quella sinuosità.

Tornando nel ripiano della Grotta presso i Trofei, strisciando in una specie di canale ci siam trovati in un'altra Grotticella decorata anch'essa di trasparenti scherzi. Dopo ciò sono uscito a riveder la luce con gli stessi sentimenti che prova chi svegliasi da un sogno portentoso.

Ingiustamente, o Amico, questa Grotta famosa ha sino ad ora nelle descrizioni ricevuto il nome da un oscuro Villaggio. Invero tanti oggetti sotto l'occhio contemplatore cento volte moltiplicati, tanti oggetti, a cui nello stesso momento e sotto l'aspetto medesimo ciascuno appropria somiglianze diverse, quelle sale senza il soccorso dell'arte ornate ad arte, da quale Divinità il Poeta ed il Pittore direbbe sieno create, e per volger di anni variate? Dalla Natura. Perché dunque non chiamar questa Grotta che dal Cel. Naturalista Brocchi fu gridata emula di quella di Antiparos in Grecia, Museo Italico della Natura?

FINE DELLA TERZA ED ULTIMA PARTE.